Luigi Di Maio accende l’autunno “caldissimo”. Fissa la posta con l’Europa: se non concede flessibilità l’Italia blocca tutto
L’autunno caldo, anzi caldissimo – per usare la declinazione massimalista scelta da Luigi Di Maio – è alle porte e il vicepremier fissa la posta in gioco con l’Europa, posizionata in cima alla lista di quei “poteri forti” che ora “stanno facendo la guerra” al governo gialloverde e che tra qualche mese – incalza il leader 5 Stelle – alzeranno il tiro ancora di più.
La vicenda turbolenta della nave Diciotti ha acuito lo scontro tra l’esecutivo e Bruxelles, portandolo al suo livello più alto, e ora Di Maio allarga la prospettiva. Con un rilancio. Una sorta di seconda chance, che punta all’incasso e passa per concessioni pesanti da parte dell’Unione europea, riassumibili nel conferimento di quella flessibilità necessaria per misure per finanziarie misure onerose che corrispondono al nome di reddito di cittadinanza e superamento della legge Fornero, solo per citare alcuni esempi.
Per capire come la storia della nave che è rimasta ormeggiata al porto di Catania per cinque giorni con a bordo 177 migranti si intreccia con le nuove richieste di Di Maio all’Europa basta leggere le parole affidate dallo stesso ministro del Lavoro all’intervista su Skytg24: “Con l’Unione europea abbiamo provato la linea morbida, ci siamo seduti al tavolo e detto che avevamo bisogno di un aiuto sui migranti e loro hanno scritto un foglio dicendo che chi sbarcava in Italia sbarcava in Europa. Invece è successo che iniziavano a sbarcare le persone e non venivano ricollocate in Europa”. Qui si colloca il legame tra le due storie: l’Europa che non accoglie i migranti della Diciotti, l’aiuto che arriva da Albania e Irlanda (Paesi fuori dall’Ue) e dalla Cei, l’Europa che diventa nemica. E ora l’Europa che deve risarcire l’Italia.
L’evoluzione del Di Maio pensiero è proprio la “riparazione” che spetta all’Italia. La lista è pronta. “Se l’Unione europea ci desse dei segnali di aiuto” non solo sui migranti ma “anche sulla lotta alla povertà e alla disoccupazione, con il reddito di cittadinanza, con la possibilità di eliminare la legge Fornero, noi potremmo ravvederci”, afferma il ministro pentastellato. In pratica la stragrande maggioranza dei punti del programma sottoscritto con la Lega nel Contratto di governo.
Quello che Di Maio prova a mettere sul piatto è un ribaltamento di prospettiva: non più l’Italia degli ultimi governi di centrosinistra che deve andare a chiedere flessibilità a Bruxelles, ma un’Italia che deve ottenere quella stessa flessibilità come atto dovuto, un risarcimento per gli sgarbi subiti. Non è un caso che Di Maio vincoli il ravvedimento dell’Italia rispetto alla “linea dura” promessa all’ottenimento delle richieste avanzate.
Il “se” parte dalla convinzione, ritenuta assoluta, che l’Europa sbagliato pesantemente, tradendo lo spirito dell’ultimo vertice in cui era stata promessa più solidarietà all’Italia sul fronte sbarchi e redistribuzione dei migranti. Così Di Maio condisce questo ragionamento: “Questo governo del cambiamento sta mettendo in mostra tutte le ipocrisie dell’Europa: ci hanno fatto la morale Macron e Merkel che dovevamo fare gli accoglienti, ma in questi giorni se ne sono andati al mare e non ci hanno neanche risposto quando li abbiamo chiamati per farci dare una mano per far sbarcare quei migranti”.
In attesa di capire come e se l’Europa risponderà alla nuova scossa che arriva dal governo italiano, Di Maio mette le mani avanti e fissa altri due paletti nell’offensiva a Bruxelles: il veto al prossimo bilancio europeo e la bocciatura del Ceta, il tratto di libero scambio tra l’Europa e il Canada. Su quest’ultimo punto il ministro è intransigente: “Il Ceta deve arrivare il prima possibile in aula perché così lo bocciamo, sfavorisce i nostri agricoltori. E questa è solo una delle battaglie”. Tutto dentro un quadro dove i “burocrati” europei saranno presto spazzati via dal “terremoto” delle elezioni europee che si terranno nel 2019.
Come in una sorta di matrioska, Di Maio rimanda a un altro fronte dell’autunno caldissimo, quello che avrà come teatro le aule di Camera e Senato. Il riferimento è alla legge sull’anticorruzione, che non a caso il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, proprio oggi dà in arrivo a settembre, e il taglio delle pensioni d’oro che il leader 5 Stelle vuole portare avanti “il prima possibile”.
Europa e Parlamento, ma anche il mondo dell’industria. È qui che Di Maio colloca il terzo fronte. C’è la questione della revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia dopo il crollo del ponte Morandi a Genova, con l’annesso tema della nazionalizzazione della rete autostradale. C’è Atlantia, la società che controlla Autostrade per l’Italia, messa anche oggi sotto accusa e dipinta da Di Maio come un altro esempio di potere forte che rema contro il Paese. C’è l’Ilva di Taranto, la grande questione industriale che va portata a soluzione in meno di venti giorni. I tre fronti di Di Maio passano per la stessa “linea dura” evocata nell’intervista della domenica. Quanto questa linea si ammorbiderà o meno dipenderà anche dalle risposte di tutti quelli che Di Maio ha tirato in ballo.
L’HUFFPOST