Ma quale cambiamento c’è solo una gran caciara

Io immaginavo che il governo del cambiamento dovesse funzionare più o meno così. Mettiamo che in una importante città italiana a un certo punto fosse caduto un ponte strategico per la viabilità di una parte vitale del Paese e che il crollo avesse provocato morti e feriti.

Terminate le operazioni di soccorso mi sarei aspettato, nel silenzio più assoluto per serietà e rispetto delle vittime, che nel giro di pochi giorni le macerie fossero rimosse, le parti superstiti demolite e che nel giro di pochi mesi un nuovo, moderno, sicuro e magnifico ponte avesse permesso il ritorno alla vita.

A tempo debito, mi sarei aspettato che il presidente del Consiglio fosse apparso in televisione a reti unificate per annunciare che le responsabilità erano state accertate con sicurezza, i colpevoli individuati e che di conseguenza, dal giorno successivo, le cose nella gestione delle autostrade sarebbero cambiate in un certo modo.

Questo io immaginavo da parte di chi millanta di saperla più lunga di tutti noi. E invece cambiano le facce e le parole d’ordine ma non la sostanza e rimaniamo saldamente attaccati al più classico dei riti italici: buttarla in caciara. Divergenze tra ministri, liti tra ministri e autorità locali, minacce e insulti tra pubblico e privato: una vergognosa e inconcludente babele nella quale tra un po’ sarà difficile distinguere torti e ragioni, vero da falso. Più passano i giorni più qualsiasi certezza si allontana, a parte quella che ciò che resta del ponte Morandi di Genova rischia di diventare l’ennesimo monumento all’incapacità della politica italiana, il primo dell’era del presunto cambiamento.

In queste ore Di Maio e soci, non sapendo che decisioni prendere in quanto non all’altezza del loro mandato, hanno tirato in ballo tutti e di tutto, persino di resuscitare (come colpevole del crollo) Massimo D’Alema, uno sfollato della politica crollato di suo ben prima di quel ponte.

A noi interessa molto il passato, ai genovesi e agli italiani di buon senso importa però di più il presente e il futuro. E siamo molto preoccupati di essere nelle mani di un governo che improvvisa. Perché l’Italia è un Paese dove le uniche cose definitive sono quelle provvisorie,

IL GIORNALE

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