Regeni uno di noi? “Quella frase fa male, molto male”

“Regeni è uno di noi”, ha detto Abdel Fattah al-Sisi, presidente dell’Egitto, nell’incontro avuto oggi con il vicepremier italiano Luigi Di Maio. Quella frase è un pugno allo stomaco, un oltraggio alla memoria che riapre una ferita che non si è mai rimarginata. “E fa male, molto male”, riferiscono fonti vicine alla famiglia Regeni. Avvolta in un manto di silenzio, dolore e indignazione. Una indignazione che emerge dalle parole e dai silenzi di quanti, a cominciare dai famigliari, non hanno smesso un sol giorno di battersi perché sia fatta verità e giustizia sull'”assassinio di Stato” di cui Giulio Regeni è stato vittima in Egitto.

La conferenza stampa di Di Maio dal Cairo trasmessa in diretta da Rainews è stata seguita anche dalla famiglia di Regeni. Il vicepremier ha detto che “il primo argomento di discussione con il presidente al Sisi” è stato proprio il caso del ricercatore ucciso nel febbraio del 2016 in Egitto. “Abbiamo sentito le parole di Di Maio, ma preferiamo non rilasciare alcun commento”, ha detto Paola Deffendi, mamma di Giulio, raggiunta telefonicamente dall’Agi. Anche l’avvocato della famiglia, Alessandra Ballerini, non fa dichiarazioni: “È questa la linea che abbiamo deciso di seguire”, ribadisce. Ma quell’affermazione di al-Sisi, riportata dal vicepremier italiano non è sfuggita. “Sentire al-Sisi dire ‘Giulio è uno di noi’, lo ritengo profondamente offensivo, agghiacciante – dice ad HuffPost Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, tra i protagonisti del movimento che da oltre 30 mesi si batte perché sia fatta verità e giustizia sul barbaro assassinio del giovane ricercatore friulano- Giulio Regeni è una delle innumerevoli vittime di un sistema repressivo che al-Sisi presiede. ‘Giulio è uno di noi’, avrebbero potuto dirlo solo le tantissime egiziane e i tantissimi egiziani che hanno fatto la sua fine. E possono dirlo ancora oggi solo i sopravvissuti alle sparizioni e alle torture”, rimarca Noury, ricordando che domani è la Giornata Onu per le vittime di sparizione forzata.

Duro è anche il commento di Luigi Manconi, già Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, da sempre al fianco dei genitori di Giulio nella loro battaglia di verità e giustizia: “Dopo anni – dice Manconi ad HuffPost – il despota egiziano si attribuisce Giulio Regeni. Lo stesso Giulio Regeni che il regime egiziano, gli organi d’informazione filogovernativi, gli apparati e gli uomini dello Stato e lo stesso capo del Governo, hanno via via indicato come nemico dell’Egitto, agente dei più diversi servizi segreti esteri, consumatore di sostanze stupefacenti, dedito a uno stile di vita scandaloso, oltre che dall’incerta identità sessuale. Ora gli stessi – rimarca Manconi – ritengono opportuno considerarlo uno di loro, mentre non un passo in avanti è stato compiuto per l’accertamento della verità dei fatti. E persino quei video delle telecamere del luogo della scomparsa e poi del ritrovamento cadavere di Giulio si stanno rivelando di nessuna utilità”.

VIDEO – Di Maio: “Al Sisi mi ha detto ‘Giulio Regeni è uno di noi'”

Quanto all’affermazione del vicepremier italiano sulla normalizzazione dei rapporti tra Italia ed Egitto che “non può che passare per la verità sulla morte di Giulio Regeni”, l’esponente di Amnesty annota: “Mi auguro che questa frase sia sincera, non voglio avere dubbi su questo. Tuttavia, il rischio è proprio che la normalizzazione passi sopra l’assassinio di Giulio”. Di Maio fa riferimento al lavoro delle due Procure, quella di Roma e del Cairo, un lavoro che Noury ha seguito, fin dall’inizio, con metodica attenzione. “È un auspicio già sentito – commenta – che fu peraltro anche una delle giustificazioni per rimandare, ormai un anno fa, l’ambasciatore italiano al Cairo. Ogni volta si dice che la prossimo incontro la Procura egiziana fornirà finalmente gli elementi decisivi. Ma fino ad ora, e sono ormai passati oltre 31 mesi dal ritrovamento del corpo martoriato e senza vita di Giulio, abbiamo assistito a depistaggi, ritardi, fornitura tardiva e solo parziale di elementi potenzialmente utili alle indagini come, ad esempio, le immagini delle telecamere di sicurezza, consegnate incomplete e piene di buchi solo due anni e mezzo dopo la scomparsa di Regeni”.

Giulio è stato torturato dal 25 gennaio al 2 febbraio. “L’ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso“, raccontò sua madre Paola, ricordando che mai nessun cittadino italiano era stato ridotto così “dopo il nazifascismo”. La famiglia Regeni, insieme con il loro avvocato Alessandra Ballerini, sta portando avanti una battaglia per ottenere verità e giustizia sulla morte di Giulio. Ma non solo: stanno ponendo con forza (anche con un lungo sciopero della fame) il problema della tutela dei diritti umani al Cairo. Da settimane è agli arresti Amal Fathy, moglie di Mohamed Lotfy, responsabile della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), nonché legale e sostenitore dei Regeni al Cairo. In passato un altro componente dello staff legale dei Regeni, Mohammed Abdallah, era rimasto agli arresti per più di sei mesi. “Nessuno deve più pagare per la nostra legittima richiesta di verità sulla scomparsa, le torture e l’uccisione di Giulio”, è scritto nel comunicato pubblicato sulla pagina Facebook Giulio siamo noi, nel quale Paola Deffendi e Alessandra Ballerini annunciavano un digiuno a staffetta per chiedere la liberazione immediata di Amal Fathi. Era il 14 maggio 2018. Amal Fathi è ancora in carcere. “Desideriamo scoprire i colpevoli di questo caso e stiamo agendo in maniera molto trasparente, su questo caso, con le autorità italiane e i procuratori italiani. Noi speriamo di poter avere una risposta appena possibile”. Così al-Sisi in una conferenza stampa a Sharm el Sheikh, riferendosi al caso di Giulio Regeni. Secondo il presidente egiziano, che ha parlato a margine del ‘”Forum mondiale della gioventù” (World Youth Forum), l’omicidio provocò anche un danno per il suo Paese. Il cadavere di Giulio Regeni fu trovato durante la missione imprenditoriale guidata dall’allora ministra Federica Guidi, vanificando, secondo al Sisi, potenziali investimenti italiani sul punto di essere realizzati. “Noi siamo stati i più colpiti”, ha azzardato, ribadendo che gli egiziani sono “ansiosi di risolvere questo caso”. Era l’8 novembre 2017. Lo stesso al-Sisi, ha confermato al ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, “la volontà e il grande desiderio di arrivare a risultati definitivi nelle indagini sull’uccisione di Giulio Regeni e di scoprire i criminali per fare giustizia sulla vicenda”. Ad affermarlo è il portavoce della presidenza egiziana, Bassam Radi, dopo l’incontro tra i due a Il Cairo. E’ il 18 luglio scorso. Quarantuno giorni dopo, l’impegno viene ribadito all’altro vicepremier italiano. Con l’aggiunta di quella frase della vergogna: “Regeni è uno di noi”.

L’HUFFPOST

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