La linea a 5 stelle sui migranti alla prova dell’Europa
Il ministro della Difesa prende nel pomeriggio un aereo. Quando scende dalla scaletta mette piede sul territorio austriaco. È a Vienna, dove giovedì è attesa per un vertice informale dei ministri della Difesa. È a lei che il governo ha affidato la prima contromossa dopo il blackout sul caso Diciotti. Un’idea messa a punto dal ministro e dai suoi tecnici, che si articola in tre punti: il principio di rotazione dei porti di sbarco dei migranti soccorsi in mare; lo sganciamento del paese di approdo dal criterio geografico di vicinanza; una unità di coordinamento ad hoc con Frontex con rappresentanti di tutti i Paesi Ue, con sede a Catania.
È la filiera del Movimento 5 stelle a far propria la linea d’azione. Trenta sente continuamente Luigi Di Maio, che ha dato il suo benestare. E ha condiviso il progetto con il premier Giuseppe Conte, che ha sempre sostenuto la necessità di una redistribuzione a livello comunitario del carico di vite umane che arrivano sulla sponda sud del continente. L’ultima telefonata ieri in serata, con il disco verde: “Bene, procediamo in questa direzione”. In una triangolazione che vede su uno dei vertici il ministro degli Esteri Enzo Moavero, impegnato contemporaneamente in un analogo summit con i suoi omologhi europei, che si è fatto carico del piano per quanto gli compete.
Da tutti i ministeri interessati in queste ore filtra che Trenta sarà la negoziatrice di una proposta dell’intero governo italiano. Ma gli accenti sono i più disparati. Conte continua ad accreditare in tutti i modi la collegialità dei tre punti, dei quali l’intero Consiglio dei ministri si fa carico. E d’altronde appena ieri al primo ministro ceco Andrej Babis – esponente del gruppo di Visegrad, fiero sostenitore degli sbarchi zero – ribadiva la necessità di una corresponsabilità di tutta l’Unione nell’affrontare il problema migratorio, ricevendo sostanzialmente una porta in faccia.
Proprio nello stesso giorno in cui Viktor Orban, l’alfiere del gruppo che ha il suo motore principale nella mitteleuropa, stringeva una mano a un sorridente Matteo Salvini mentre all’unisono ribadivano la volontà di bloccare del tutto gli arrivi di migranti nella fortezza Europa. Che per il Viminale è il punto di arrivo ideale, ma che realisticamente è di difficile raggiungimento. Per questo il leader del Carroccio guarda con prudenza la missione europea dei due ministri. Da un lato perché sa che le possibilità che si trovi un punto di caduta sono esigue. Dall’altro perché un meccanismo di rotazione pur non configurandosi come un optimum sarebbe un primo passo verso una corresponsabilità dell’Ue sulla gestione generale dei flussi migratori.
Per questo nella telefonata che stamane ha visto da un capo della cornetta il vicepremier e dall’altro la Trenta, Salvini ha dato il suo nulla osta al tentativo. Ma la volontà del ministero sarebbe quella di allargare l’intesa ai paesi del nord del Mediterraneo anche al di fuori dell’Unione, ipotesi al dire il vero quasi irrealistica politicamente e giuridicamente, e di unire le modifiche al programma Sophia (quello di ricerca e soccorso comunitario) a un deciso cambio di rotta nelle politiche europee sui paesi di transito e della sponda nord dell’Africa.
Tensioni che costituiranno l’alone dei negoziati di domani. Difesa e Esteri proveranno a raggiungere un’intesa sulla rotazione anzitutto con i paesi rivieraschi del nostro mare interno. Per portare a casa un risultato – che fonti governative che hanno lavorato al dossier ammettono sia molto complicata – il governo ha bisogno di Spagna e Francia. Si proverà a far leva sull’interesse di Madrid nel cercare una soluzione condivisa, dato l’aumento negli ultimi mesi dell’arrivo di migranti in territorio iberico. E con Parigi verrà messo sul piatto la riapertura del negoziato per l’adesione all’European Intervention Initiative, un’iniziativa di cooperazione militare a marca transalpina che Roma aveva respinto non più di qualche mese fa.
Dopo i sì di altri due dei tre paesi rivieraschi dell’Unione europea, la speranza è che la Grecia si accodi. E che la Germania, non essendo direttamente interessata, dia il suo placet, facendo pesare tutto il suo peso nel trascinarsi dietro un pacchetto di mischia sufficiente a garantire la maggioranza dei sì. Il no di Visegrad è quasi certo. Ma la filiera 5 stelle che sta portando avanti la proposta fa spallucce: “La loro politica non è conciliabile con le proposte italiane”. Basterebbe attraversare tre isolati di Roma e bussare alla porta del Viminale per sentirsi dare una risposta diametralmente opposta.
L’HUFFPOST