Vittorio Feltri, l’amarissima verità sul ponte Morandi: “Vi dico perché Renzo Piano vuole rifarlo”
Renzo Piano è considerato coram populo un grande architetto e noi non vogliamo contestare la vulgata. Però ci ha stupito che egli abbia ficcato il naso sul ponte crollato a Genova, proponendone uno nuovo che ha suscitato l’ entusiasmo generale. Non si capisce perché il suo disegnino sia stato accolto quale brillante soluzione. L’ autore deve la propria fama non solo alle opere che ha firmato, ma anche al fatto di essere sempre stato un criptocomunista, caratteristica che rende simpatici e apprezzabili nell’ ambiente esiguo dei fighetti. Tuttavia questo importa poco o niente. Il problema è che Renzo Piano non è un ingegnere abilitato a progettare ponti, non è compito suo innalzare costruzioni azzardate. Sarebbe meglio si limitasse a curarne l’ estetica.
Il mio antico concittadino Quarenghi, che svolgeva il suo stesso mestiere di architetto secoli orsono, abbellì Pietroburgo erigendo palazzi mirabili che ancora oggi costituiscono la bellezza principesca della città russa. Non si impegnò mai nella costruzione di viadotti e roba simile. Il che non gli ha impedito di passare alla storia quale autentico genio.
Per quale motivo, se non per vanità, l’ illustre senatore a vita si è cimentato nell’ ardua impresa? Certi manufatti sono specialità ingegneristiche, richiedono una abilità tecnica che Piano non può avere, non avendo completato studi idonei. Egli infatti, forse consapevole dei propri limiti professionali, ha immaginato di dedicare alle vittime della sciagura elementi commemorativi di esse: delle vele, dei pennoni, delle schifezze assurde che dovrebbero svettare sul sovrappasso onde rendere omaggio ai poveracci crepati sotto le macerie. Sembra che Genova abbisogni di un ponte e non di ornamenti privi di senso pratico. La sicurezza viene prima della gigioneria. Non contano i virtuosismi estetici: occorre badare alla solidità delle strade che sorvolano l’ abitato.
Non abbiamo antipatia per l’ archistar progressista e il presente articolo non è denigratorio, mette soltanto in luce un particolare: non si sfruttano i morti per darsi delle arie. All’ inizio degli anni Novanta assunsi il figlio di Piano in un mio quotidiano, L’ Indipendente, segnalatomi da una amica, Fiorella Minervino. Era bravo e me lo portai successivamente al Giornale, dove rimase a lungo, per poi occuparsi delle faccende di papà. È la dimostrazione che non ce l’ abbiamo col divo del mattone né coi suoi familiari. Indubbiamente, la gratitudine si conferma essere il sentimento della vigilia.
Ci fa ridere che Renzo si candidi a porre il suo nome fin troppo celebrato su un cavalcavia del cavolo. Egli di gloria ne ha fin troppa, si ritiri e non faccia pacchianate.
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