Milano, 3 settembre 2018 – La sperimentazione scatta tra due giorni. E tra tre mesi si tireranno le somme per capire se rendere definitiva l’introduzione del taser nella dotazione delle forze dell’ordine. «Gli operatori che lo useranno da qui a dicembre – spiega il comandante provinciale dei carabinieri di Milano, Luca De Marchis – sono stati adeguatamente preparati all’utilizzo di questo nuovo strumento». Il caso di scuola: un uomo in stato di forte alterazione psicofisica armato di coltello o accetta. Oggi l’operatore di polizia ha nel cinturone due soluzioni possibili per fronteggiarlo: spruzzargli in faccia lo spray al peperoncino per cercare di disorientarlo o, in casi estremi, puntargli contro l’arma d’ordinanza. Da mercoledì il carabiniere, il poliziotto o il finanziere di turno avrà una terza opzione: la pistola elettrica.

Dopo il corso di tre giorni tenuto dagli istruttori del Centro di perfezionamento al tiro, partirà il periodo di 90 giorni previsto dal decreto del Viminale. A Milano sono stati formati per utilizzarla anche 30 militari del Nucleo radiomobile, gli uomini del pronto intervento dell’Arma: due capipattuglia per turno lo terranno nella fondina, pronti a utilizzarlo in caso di necessità. «Le lezioni sono servite a spiegare ai militari come adoperare quella che è considerata un’arma, nonché a informarli su tutti gli aspetti legali e sanitari connessi all’uso del taser», aggiunge De Marchis.

Colonnello, cosa cambierà dal punto di vista operativo?

«Gli operatori di polizia avranno uno strumento aggiuntivo che consentirà loro di graduare ulteriormente la forza».

Faccia un esempio pratico.

«Immaginiamo che il carabiniere o l’agente in servizio si ritrovi davanti un esagitato armato di spranga o piccone come Adam Kabobo (l’uomo che l’11 aprile 2013 uccise tre persone nella zona di Niguarda a Milano, ndr ). In una situazione del genere, lo spray urticante rischia di essere inefficace e l’utilizzo dell’arma da fuoco sarebbe sovradimensionato rispetto alla potenziale minaccia. Ed è qui che si inserisce il taser, che neutralizza l’aggressore con una scarica elettrica di 5 secondi e consente all’operatore di bloccarlo in sicurezza».

Come funziona?

«L’operatore tira fuori il taser, di colore giallo per evitare che venga confuso con la pistola, e lo mostra all’aggressore per fargli capire che sta per utilizzarlo. C’è poi un ulteriore segnale di avvertimento: il carabiniere può azionarlo a distanza, producendo una scintilla che punta a scoraggiare chi gli sta davanti».

E se l’aggressore non si arrende?

«In quel caso si passa all’azione: vengono sparati due dardi che si agganciano agli abiti dell’assalitore e producono la scossa, agendo sul sistema neuromuscolare dell’individuo. Tutti i passaggi vengono registrati da un software interno: a fine servizio, chi ha usato il taser deve scaricare questi dati su un computer, producendo una traccia scritta dell’utilizzo, a tutela sia dell’operatore che del cittadino».

Nonostante sia utilizzato in decine di Paesi, il dibattito sul taser è ancora apertissimo all’interno della comunità scientifica.

«Ne siamo consapevoli. L’indicazione è quella di mirare alla schiena o alle gambe, comunque non alla testa né alla parte alta del torace. Inoltre, dopo ogni utilizzo, verrà richiesto l’intervento dei sanitari del 118 per sincerarsi delle condizioni della persona colpita».