Inchiesta su Salvini, ora cade l’ipotesi di «arresto illegale» dei 177 migranti

Il problema è dover decidere senza poter fare indagini, ma è ciò che prescrive la legge. Sia per quanto riguarda i reati da contestare al ministro dell’Interno Matteo Salvini, sia per chi dovrà eventualmente giudicarlo. Per questo di qui alla fine della prossima settimana il procuratore di Palermo Franco Lo Voi, l’aggiunto Marzia Sabella e gli altri magistrati dell’ufficio dovranno studiare le carte arrivate dalla Procura di Agrigento e stabilire con quali richieste trasmettere gli atti al tribunale dei ministri nel procedimento a carico del titolare del Viminale finito sotto inchiesta (insieme al capo di gabinetto Matteo Piantedosi) per il trattenimento illegittimo di 177 migranti a bordo della nave militare Diciotti. E ieri, al secondo piano del palazzo di giustizia, ci sono state le prime, lunghe riunioni. Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ha individuato cinque possibili accuse — al termine di una breve istruttoria, necessariamente incompleta poiché anche lui s’è dovuto fermare di fronte alla supposta responsabilità ministeriale — ma alcune sono alternative tra loro. A cominciare dalle più gravi. Il sequestro di persona “semplice”, ad esempio, cadrebbe se venisse confermato il sequestro di persona “a scopo di coazione”, introdotto con il recente articolo 289-ter del codice penale; reato punito con una pena più pesante, che rientra nella categoria dei «delitti contro la personalità dello Stato» (quelli solitamente contestati ai terroristi) e finirebbe per assorbire l’altro tipo di sequestro compreso fra i «delitti contro la persona».

Inoltre, un’eventuale imputazione per il 289-ter potrebbe non rimanere confinata al solo Salvini, giacché il presunto “ricatto” agli organismi europei per costringerli a farsi carico dei migranti “sequestrati” a bordo della Diciotti sarebbe stato rafforzato dalle contemporanee o successive dichiarazioni di altri componenti del governo: il presidente del Consiglio Conte, l’altro vicepremier Di Maio, il ministro dei Trasporti Toninelli. Sono ipotesi da valutare sulla base degli elementi già raccolti, fatta salva l’autonomia dell’attività politica e di governo; è dunque possibile che nel suo ruolo «classificatorio, sollecitatorio e di impulso», (così lo definisce la dottrina) la Procura chieda al tribunale dei ministri di prenderle in considerazione attraverso ulteriori accertamenti che solo a quell’organismo sono consentiti. Un altro reato inizialmente considerato dalla Procura di Agrigento era l’arresto illegale, che però è stato escluso poiché presuppone l’esistenza di un provvedimento (l’arresto, per l’appunto) che in questo caso non c’è. Anzi, l’accusa di sequestro deriva proprio dal fatto che i migranti sono stati costretti a rimanere sulla Diciotti in assenza di un provvedimento motivato di chicchessia; tutto sarebbe avvenuto, secondo ciò che è stato ricostruito finora, sulla base di ordini e indicazioni trasmesse a voce.

Gli altri reati configurati, omissione di atti d’ufficio e abuso d’ufficio, sono “residuali”; in particolare il secondo, previsto quando non sussistano accuse più gravi. E in tal caso il peso anche politico di tutta la vicenda verrebbe ridimensionato. Ma non sono queste le preoccupazioni di una Procura che deve limitarsi a un «preventivo inquadramento giuridico della fattispecie» prima di trasmettere il fascicolo al tribunale dei ministri, il quale diventerà il dominus e deciderà in totale autonomia. Anche sui capi d’imputazione e sulla competenza: se il trattenimento dei migranti (illegale perché non dovuto a motivi tecnici o di altra natura) è cominciato al largo di Lampedusa il giudizio spetterà ai giudici di Palermo; se invece il mancato approdo era giustificato e l’ipotetico sequestro si è verificato a Catania, allora le carte dovranno ripartire per la città etnea. Dove, eventualmente, un altro tribunale dei ministri dovrà rivalutare tutto daccapo.

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