Flavio Briatore, l’intervista-bomba su Libero: “L’Italia va male perché siamo dei cretini”

di Gianluca Veneziani

Quando nel 2016 teorizzò che il turismo italiano è fermo a trent’anni fa, tutti gli diedero addosso, considerandolo un profeta di sventure o uno che non riusciva più a essere profeta in patria. Ma Flavio Briatore, dietro i suoi occhiali a lenti colorate, ci aveva visto lungo perché conosce bene i limiti strutturali e i problemi contingenti del modo italico di attrarre turisti, che bada a incassare nella stagione, al più nell’ anno, ma non ha una visione ad ampio raggio.
Ora anche i numeri gli danno ragione, confermando come nei mesi estivi le mete privilegiate della vacanza tricolore, da quelle storiche come la Versilia e la Romagna a quelle di nuova generazione quali il Salento, hanno fatto registrare un pesante segno meno.
Se a Gallipoli si sono raggiunte punte del -40% di turisti a luglio rispetto all’ anno precedente (su una media stagionale del -25%) e Otranto si attesta sul -20%, come nota Matteo Spada, presidente dell’ Associazione Commercianti e Imprenditori di Gallipoli, la Riviera romagnola fa segnare una flessione per tutta la stagione di circa il 10%, mentre Forte dei Marmi e la costiera a nord di Viareggio perdono fino all’ 8% di presenze (fonte: Il Tirreno).
Fare la diagnosi di un fenomeno simile è pratica complessa: a esso concorrono indubbiamente fattori estrinseci e imponderabili, come l’ aumentata sicurezza in Paesi in passato vittime di attentati (si pensi all’ Egitto, ma anche alla Spagna o alla stessa Costa Azzurra in Francia) che ora tornano mete spendibili per il turismo; oppure il clima non troppo clemente che ha accompagnato in Italia l’ avvio della stagione estiva.

Ma a ciò si sommano responsabilità tutte umane e nostrane, come la mancata programmazione e l’ assenza di investimenti nel settore, gli eccessivi lacciuoli burocratici e legislativi, un rapporto servizi-prezzi non competitivo rispetto ad altri Paesi come la Grecia e la Croazia (il turismo italiano verso l’ estero è cresciuto quest’ estate del 5-6%, secondo i dati di Assoturismo), nonché un certo provincialismo, che impedisce al contempo di fare rete e di pensarsi come meta di visitatori globali. Senza considerare l’ eccessiva euforia degli ultimi anni, che ha indotto a credere che bastasse mantenere l’ esistente, anzi speculare al massimo su quanto c’ era già, per confermare le performance del passato. «Paghiamo l’ assenza di un piano infrastrutturale nazionale e un’ offerta non sempre all’ altezza della domanda, anche a causa di una scarsa qualificazione del personale soprattutto nel settore extra-alberghiero (case vacanze, B&B), il più colpito dal calo», fa notare Vittorio Messina, presidente di Assoturismo.
Tutti questi fattori hanno portato alla fuga dei giovani dai poli italiani del divertimento in direzione nuovamente di Ibiza, Mykonos, Formentera e all’«esigenza di ripensare la movida per recuperare quote di turismo giovanile», come ci dice la presidente di Federalberghi Rimini Patrizia Rinaldis. E insieme hanno aumentato la consapevolezza, in molti operatori, dell’ urgenza di svecchiare le strutture, «molte delle quali sono ferme agli anni ’80» (parola di Giancarlo Barocci, presidente di Federalberghi Cesenatico), e di «destagionalizzare e diversificare, puntando su forme di turismo extra-balneare», come chiede il presidente di Confcommercio Versilia Piero Bertolani.
Queste ricette possono trovare una sintesi nelle parole di Briatore, che oggi più che mai ha titolo per strigliare il nostro Paese e lanciare, dalle colonne di Libero, il suo appello a fare presto per scongiurare il peggio.

Briatore, la stagione estiva volge al termine e l’ Italia segna un profondo rosso un po’ dovunque. È la dimostrazione che il nostro turismo non è competitivo sul mercato mondiale?
«Il problema è che noi non investiamo nel turismo, gli altri Paesi sì. La Spagna ha ripreso alla grande, il Montenegro attira turisti da tutto il mondo e di ogni fascia sociale, mentre noi siamo fermi al palo. Colpa di vincoli burocratici e di assurde leggi regionali, penso a quelle della Toscana e della Sardegna, che impediscono di edificare alberghi a meno di 300 metri dal mare, un modo perfetto per scoraggiare il turista dall’ andarvi in vacanza. Aggiungo anche che l’ Italia, Paese a vocazione turistica con 7.000 chilometri di costa, non ha una sua catena alberghiera. E tanto meno vengono qui a investire le catene alberghiere straniere».
In Salento quest’ anno ha subito un tracollo il turismo legato al divertimento giovanile. Al di là della chiusura di due dei principali luoghi di movida di Gallipoli, cosa c’ è alla base? Improvvisazione, abusivismo (con balconi e garage trasformati in case-vacanze), eccessivo rincaro dei prezzi?
«Il punto è che il turismo delle ciabatte non dà niente al territorio né basta a trasformare un Paese o una regione in una destinazione appetibile».
Lei ha più volte lamentato l’ assenza di un turismo di lusso in Puglia. Cosa si deve fare per attrarlo?
«Se vuoi organizzare eventi, congressi, devi avere le camere, sale da 1.500 persone. Così attiri altre fasce di visitatori e li porti anche in altri mesi, a maggio, settembre. Ma per fare questo occorrono investimenti, e molti hanno paura a investire in Italia. Basterebbe pensare che il turismo di lusso lascia cose importanti sul territorio, porta soldi che fanno il bene di chi lì vive e lavora».
Non abbiamo ancora compreso che il turismo crea lavoro?
«Possiamo anche averlo capito, ma con tutti i vincoli non si può fare niente. Non facciamo opere pubbliche, le strutture alberghiere sono vecchie, e ci culliamo sul fatto che il nostro mare è bello, senza pensare che il mare è molto bello anche altrove. Stiamo sprecando una grossa opportunità: ad agosto la gente va in vacanza ma quello stesso mese tanta gente potrebbe trovare un’ occupazione. Penso a lavapiatti, camerieri…».
Quanto incidono i prezzi eccessivi rispetto alla qualità dei servizi?
«Se tu offri un servizio valido, la gente non si lamenta dei costi. E questo vale per tutti i tipi di offerta, dal turismo di lusso ai campeggi. Il problema è che spesso in Italia le camere sono over prize, cioè sono care ma vecchie».
Lei ha parlato anche di «provincialismo» rispetto a un certo turismo vip…
«Sì, quando c’ è un matrimonio importante in Italia, subito chi si sposa trova la gente che paparazza, e presto vede le sue foto sui giornali o sui social media. Così perdiamo credito perché violiamo la privacy. E costringiamo i personaggi importanti a non venire più a sposarsi da noi».
Parliamo delle responsabilità pubbliche. Vede una volontà di questo governo di investire in politiche turistiche?
«Hanno accorpato il ministero del Turismo a quello dell’ Agricoltura e mi chiedo come il ministro Centinaio possa occuparsi di due cose così diverse. Più in generale abbiamo il problema dei porti e non riusciamo ad accogliere grandi yacht. Le poche barche che venivano in Italia le abbiamo mandate via con la tassa sul lusso e ora ce le ritroviamo tutte in Montenegro.
Abbiamo insomma una capacità unica di mandare via la gente e, quando proviamo a rimediare, è ormai troppo tardi».
Cosa potrebbe fare lo Stato per rilanciare il settore? Ridurre le tasse sul turismo, destinarvi maggiori quote di Pil?
«Bisogna dare la possibilità alle catene alberghiere di venire in Italia, agevolandole, levando loro molti vincoli, naturalmente nel rispetto delle leggi e della natura. È un problema fare impresa per gli italiani, figuriamoci per gli stranieri in Italia.
Quanti enti e quante persone occorre contattare prima di aprire una struttura turistica?».
Ha colpe anche la magistratura nel limitare l’ operato di alcune attività?
«Guardi, se le regole sono chiare, la magistratura non interviene. Il problema è che le regole non sono chiare, è facile violare le norme, e quindi la magistratura agisce, interpretando come può le leggi».
Lei oggi investirebbe ancora in Italia? E se le proponessero un ruolo da sottosegretario al Turismo, accetterebbe?
«A investire ormai ci ho rinunciato. Quanto alla politica, non ci penso neppure. Anche se sei un ministro bravo, in Italia non puoi incidere, perché a decidere sono le regioni, ciascuna con le proprie leggine. Le regioni, che dovrebbero promuovere i territori, in realtà sono la loro condanna».

LIBERO.IT

 

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