Cento giorni da avvocato del popolo
(INTERVISTA a Giuseppe Conte, di L. Annunziata)
Il documento, tre fogli, è sul tavolino accanto a un caffè e a un bicchiere d’acqua. Sotto il titolo “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione” ci sono cambiamenti dell’ultima ora al testo del disegno di legge che attende di essere approvato, oggi, dal Consiglio dei Ministri, e che già si anticipa come uno dei disegni di legge che provocherà una ondata di discussioni. La novità maggiore nella nuova versione è che la interdizione dai pubblici uffici e dalla possibilità di partecipare a gare pubbliche, il cosiddetto Daspo per corrotti, nella prima versione proposto “a vita”, prevede ora la possibilità di una riabilitazione del corrotto, trascorsi 15 anni. C’è poi l’inasprimento delle pene, e una più precisa definizione della figura più discussa in punto di diritto: l’agente sotto copertura: “Non sarà un soggetto che provoca il reato per incastrare i corrotti, ma un agente che raccoglie prove nel corso di una indagine… tecnicamente un agente sotto copertura non un agente provocatore…”
L’avvocato Conte orgogliosamente si rivendica tale più volte, e mai usa per sé, in un lungo colloquio, la definizione di presidente del Consiglio. Il suo ufficio occupa l’angolo delle due facciate che si incrociano fra via del Corso e Piazza Colonna. Le tappezzerie sono le immutabili gialle che rivestono quasi tutti i Palazzi del potere a Roma. Ma lo studio è quello piccolo. Scelta non occasionale per un premier. A Chigi esistono infatti due studi scelti negli anni dai vari presidenti del Consiglio: uno molto ampio su cui andò la preferenza ad esempio di Silvio Berlusconi, e questo dove si sono seduti prima di Conte molti altri.
Ed è in questo tripudio di giallo che l’avvocato del popolo Giuseppe Conte, definitosi tale nel discorso di inaugurazione del suo mandato, raggiunge i cento giorni del suo governo. Tracciando un bilancio senza reticenza su nazionalizzazioni, Ilva, giustizia, nave Diciotti, rapporti con l’Europa, rapporti interni al governo. È il bilancio di un premier che alla fin fine ancora non si è capito se è un vaso di coccio o il meccanico che sistema con pazienza una macchina che corre a velocità fortissima e che ogni tanto sembra sbandare in curva. “Guardi io mi limito a fare bene quello che sto facendo. Si può esser un pino sulla vetta di una montagna, ma anche un fiore in una valle: l’importante è impegnarsi sempre al massimo qualunque cosa si faccia”. Se serviva una risposta per capire come si vive e come si vuol far percepire Giuseppe Conte, questo forse è lo squillo di tromba: il premier è, e pensa di essere, soprattutto un uomo di servizio, una figura che si è messa a disposizione di un progetto. Ma non si sente scomodo tra due vicepremier che sono gli azionisti dei due partiti al governo? “Perché? Pensi al contrario, se non fossero entrati loro nel governo. Ma non avrei accettato se non ci fossero stati”. Ed è inutile insistere su questa sua fragilità: “Sarebbe così se avessero preso una figura debole, senza esperienza, ma non credo che si possa dire di me”. Il suo merito maggiore, allora? “Nessuno. Lascio che siano gli altri a giudicare”, dice.
Il presidente Conte non intende mettersi in prima fila. In fondo è nel suo stile ed è il suo strumento di sopravvivenza. Nel corso del colloquio non parlerà mai male di nessuno, non attaccherà il governo precedente (eccetto un po’ solo Calenda) e sistematicamente raffredderà le polemiche pubbliche, “si sa i politici fanno affermazioni che poi i giornali rendono eccessive… ma altro è la Politica con la – P – maiuscola e noi la stiamo facendo”.
E tuttavia, se il Presidente Conte non si mette in prima fila, l’avvocato Conte ha invece una idea chiara e forte (e anche positiva) di quello che sta facendo: “Mi sono reso conto di come una persona di diritto possa fornire un valore aggiunto. È quello di studiare tutti i dossier, non solo leggerli, ma anche entrarci dentro e poi seguirne l’ attuazione”. Affermazione di solo apparente buonsenso. In realtà una definizione indirettamente poderosa, che si capisce meglio se gli si chiede qual è la cosa migliore che pensa di aver fatto finora: “Il dialogo con l’Europa, un percorso lungo, che stiamo attentamente delineando. Ho personalmente seguito e partecipato alla elaborazione di molti dossier che sono lì sul tavolo”. Così come sulla scrivania c’è la copia del Financial Times con dedica firmata dal presidente Trump a sottolineare un articolo sui loro colloqui americani.
Un ruolo che apre immediatamente alla domanda che in questi ultimi giorni sembra esser la forma presa dal governo: il delinearsi cioè tra le due forze politiche vigorosamente rappresentate dai due vicepremier, di un terzo settore governativo, rappresentato da professori e tecnici – Tria, Savona, Trenta, che alla difesa si muove con certa autonomia e Moavero che fa lo stesso al ministero degli Esteri. Tutte figure molto “raffreddate” rispetto ai vicepremier, e con un intenso dialogo con le istituzioni europee. Sarà loro il merito di una svolta moderata che sta riportando Salvini e Di Maio dentro i parametri (politici anche prima che economici) dell’Europa? In particolare sulla madre di tutte le battaglie che sarà la finanziaria? Funziona così il governo? C’è una dinamica interna che ha profilato una sorta di terza componente, i tecnici, che sta spostando il clima politico?
“Noi non abbiamo mai pensato di essere tecnici”, è la smentita dell’esistenza di una terza componente, “qui lavoriamo davvero tutti in grande accordo, è un continuo scambio. Salvini e Di Maio sono persone molto dialoganti e ragionevoli” , ma la lingua va verso quel “noi”. Nemmeno sulla Diciotti, come si è visto, avete avuto tensioni? “Il caso della Diciotti è stato così enfatizzato che alla fine è stato oscurato il percorso sin qui compiuto in tema di immigrazione. Io personalmente ho partecipato al Consiglio europeo sulla immigrazione e alla riunione preparatoria. Abbiamo fatto una proposta ben articolata che ha costituito il fondamento delle conclusioni poi adottate a fine giugno e in corso di attuazione.” Insomma se la terza componente non c’è come corrente dentro il governo, esiste però come “metodo, quello dei professori. Tutti quelli che lei nomina sono persone esperte che lavorano e studiano i dossier”. Un attimo di riflessione. “Ci chiamano Barbari. Definizione che amo perché barbaro significa straniero. Siamo barbari sì. E io sono un barbaro, perché non sono parte del vecchio sistema. ”
Vediamo un po’ allora di fare un check sulle cose finora inserite nel sistema? E qui vorrei avvertire il lettore di un cambio di passo del colloquio. Il cortese presidente del Consiglio inforca (simbolicamente perché non li usa) di nuovo gli occhiali dell’avvocato e fornisce preziose precisazioni: di metodo e di merito.
Cominciamo dalle nazionalizzazioni, per altro non inserite nel contratto. Si devono fare? “Ma noi non abbiamo deciso di nazionalizzare tutte le infrastrutture.” Confesso una certa sorpresa. Ma Conte procede: “Intanto io credo che non sia scandaloso aprire un dibattito in merito a come siano state fatte le privatizzazioni – dopotutto hanno più di venti anni. Non dovremmo chiederci, coinvolgendo anche l’opinione pubblica, come sono state fatte, a cosa sono servite? Non sarebbe necessaria una riflessione? Giudicando caso per caso, settore per settore. Né credo che la scelta in merito debba esser fatta in maniera ideologica” (l’avvocato come si vede si fa sentire). “Ci sono settori in cui ha senso privatizzare e altri no. Ci sono concessioni di differenti tipologie. Ad esempio è giusto se si chiede a un privato di fare grandi infrastrutture dargli una lunga concessione in maniera che recuperi l’investimento: ma se si danno in concessione autostrade che sono già state costruite?”. Ma che significa questo discorso applicato ora al caso del ponte Morandi? ” Ho avviato una procedura di caducazione della concessione. Abbiamo ricevuto le repliche di Autostrade. Ma siccome non voglio esporre lo stato a inutili rischi legali, raccoglierò tutti i necessari pareri giuridici e alla fine, dopo attenta valutazione, attuaremo in modo fermo e risoluto la nostra linea”. Dunque nessuna nazionalizzazione? “La nazionalizzazione non è l’unica risposta. Valuteremo anche questa soluzione ma non possiamo escludere allo stato che si faccia una nuova gara. Ma io sto lavorando anche a un piano di infrastrutture che offra un nuovo quadro di regole più favorevole allo Stato. Stiamo creando una banca dati per poter assicurare massima sicurezza ai cittadini. Insomma l’approccio è questo, ed è il mio approccio: occorre perseguire la migliore soluzione avendo una visione complessiva dei problemi”.
E l’Ilva? Sta per scadere il denaro e l’intera trattativa: ha ragione Di Maio a parlare di un garbuglio che rende impossibile intervenire nonostante le irregolarità riscontrate sulla gara? “Abbiamo acquisito il parere dell’Anac e dell’Avvocatura dello Stato. Li ho esaminati anch’io”, sorride come gli capita ogni volta che nomina il ruolo degli esperti che leggono i dossier per definizione, “Entrambi i pareri hanno segnalato irregolarità nello svolgimento della gara. Ma è vero anche che l’aggiudicazione è già avvenuta e siccome non si può procedere all’annullamento di una gara solo per irregolarità senza garanzia di poter realizzare meglio l’interesse pubblico, farlo adesso potrebbe esporre lo Stato a un danno enorme”. Ma quale sarebbero le irregolarità? Non ci è molto chiaro. “L’ultima, in ordine di tempo, è che non si è consentito al competitore escluso di poter rilanciare. In questo modo Mittal si è così avvantaggiata e lo Stato si è impoverito”. Insisto. Questa scelta è stata una frode o una mancanza della macchina amministrativa? Insomma, Calenda non è uno sprovveduto. “Guardi da me non sentirà mai accuse a governi precedenti. Faccia una cosa: chiami Calenda e lo chieda a lui. Io sollevo questo tema non per fare accuse, ma semplicemente perché il rilancio avrebbe ragionevolmente offerto allo Stato la possibilità di concludere il contratto a condizioni più favorevoli”. Insomma, mi pare di capire che Di Maio tenta un’ultima trattativa sperando di migliorare le condizioni degli accordi e poi la Mittal avrà comunque l’azienda? Tanti giri per tornare al punto di partenza? “Sarebbe un bel gesto se la Mittal si offrisse di migliorare le condizioni del contratto”.
Restiamo ancora sul piano legale, che è chiaramente il terreno su cui il presidente del Consiglio si muove meglio. Parliamo dei diritti dei cittadini. Un tema su cui questo governo pare mostrare il fianco di una evidente rottura dello stato di diritto. L’intervento sulle pensioni d’oro, ad esempio. Che ha suscitato molti ma di pancia anche dentro la stessa coalizione governativa. Una cosa, dicono da molte parti, è un contributo volontario; altro è la cancellazione di diritti acquisiti. Conte risponde piccato: “Esiste un principio di responsabilità che suggerirebbe a chi gode di benefici eccessivi di mostrare solidarietà intergenerazionale, come suggeriva il filosofo Jonas. E in ogni caso c’è differenza fra privilegio e diritto. Noi interverremo solo sul privilegio”. La soglia di questo privilegio? “La soglia sono i contributi versati. Chi ha pensioni altissime senza aver pagato di conseguenza”. Ma i casi sono pochissimi, ricordo. Non raccoglierete fondi sufficienti per il reddito di cittadinanza. “Ma contiamo di recuperare centinaia di milioni di euro ma il nostro intento non è tanto e solo fare cassa ma anche introdurre misure di equità sociale”. Dunque intervenire è una misura “educativa” per la società? “Oggi esiste un obbligo morale nei confronti dei più poveri”. L’avvocato del popolo rispunta dall’impeccabile polsino.
E si definisce anche meglio quando si parla del nuovo progetto di legge sull’anticorruzione, che dovrà essere approvato oggi dal Consiglio dei Ministri. I fogli del progetto di legge sono sul tavolo, come si scriveva all’inizio. Conte chiama i suoi esperti, ancora al lavoro. Ma c’è una premessa “Noi stiamo solo adeguando il nostro sistema giuridico-sociale alla disciplina anticorruzione che ci viene richiesta da organismi internazionali e che vige nella maggior parte dei paesi occidentali. Noi non abbiamo conflitti di interessi. Siamo liberi di intervenire su questa materia”. In questa messa a punto, fa notare il giurista, le varie voci che destano polemiche sono state ulteriormente precisate. Il Daspo ai corrotti, da misura a vita nella nuova versione è prevede una riabilitazione dopo 15 anni. Sufficienti a segnare una pena, ma senza diventare un ergastolo civile. La proposta più sensibile, rimane invece l’introduzione nelle inchieste dell’agente sotto copertura. Non si lede così il legittimo diritto di informazione e difesa del cittadino? Non si rischia di dare il via libera alla delazione, alle vendette, e ad altra corruzione magari indotta? “Nella nuova versione si definisce bene questa figura come collettore di prove non come qualcuno che induca al corruzione per provare la corruzione stessa”, rassicura. “Inoltre viene istituito il concetto di ravvedimento. Cioè la possibilità del corrotto di avere sconti di pene nel caso entro sei mesi denunci il reato volontariamente”, e, leggo nel testo, “fornisca indicazioni utili per assicurare la prova del reato e per individuare altri responsabili”. Il terreno mi pare scivoloso, ma secondo il premier, “questo è già previsto per i collaboratori di giustizia”.
L’avvocato presidente è certo di quel che dice. Non sono riuscita a scalfire nessuna sua certezza. Il colloquio si è prolungato fin troppo – ma anche questa lunghezza è stata una prova di un’altra sua convinzione: la sua certezza del suo ruolo. E infatti prima di chiudere saluta con un’affermazione tutta politica: “Con questa legge diamo un segnale forte e misure concrete per far capire a tutti che la corruzione, semplicemente, non conviene”. La frase è molto evocativa. Ricordate di chi?