Follia dei giudici: sequestrata la Lega

Franklin Foer, autorevole giornalista americano autore tra l’altro del libro controcorrente I nuovi poteri forti (fresco di stampa da noi per i tipi Longanesi, lettura consigliata) sostiene che «l’Italia è un Paese in cui i meccanismi di potere non sono mai chiari, in cui le regole esistono ma non vengono mai applicate in modo convincente».

Una sintesi perfetta che anche ieri ha trovato conferma nella sentenza della magistratura che, bloccando i suoi conti da qui all’eternità, ha di fatto sequestrato la Lega, primo partito nei sondaggi più recenti. Non c’è dubbio che, se la vecchia dirigenza del partito (i fatti contestati risalgono alla gestione Bossi-Belsito) ha sbagliato o, peggio, truffato, debba pagare. Ma che c’entrano il presente e il futuro, che giustizia è quella che non si pone il problema, applicando le leggi, dell’esistenza in vita di un partito che rappresenta milioni e milioni di cittadini, cioè della democrazia?

Come ha intuito Foer osservando l’Italia dall’altra parte dell’oceano, da noi «i meccanismi non sono mai chiari». E tra i tanti, quelli della magistratura sono particolarmente oscuri. Successe con Mani Pulite all’inizio degli anni Novanta, quando un meccanismo perverso azzerò tutti i partiti meno che il Pci.

È successo lungo tutti gli anni Duemila con un accanimento giudiziario senza precedenti contro l’imprenditore Silvio Berlusconi, che aveva provato con successo a scardinare l’assetto politico immaginato dagli ex comunisti e anche da larga parte della magistratura politicizzata.

Da un lato tutto questo, come abbiamo già avuto modo di scrivere, è acqua al mulino della propaganda di Matteo Salvini. Ma dall’altro è la prova che l’Italia è una repubblica che continua a non «fondarsi sul lavoro», ma sul «lavoro dei magistrati», categoria non meno inquinata da corrotti, partigiani e cretini di qualsiasi altra. Per questo ci sfugge come possa la Lega appoggiare le manie giustizialiste dei colleghi di governo Cinquestelle e approvare, cosa fatta ieri, l’ennesimo decreto anticorruzione che sembra scritto da Robespierre e che consegna ancora di più la vita degli imprenditori (e della politica) nelle mani, non necessariamente pulite, dei magistrati. Per questo non capiamo come possa Salvini andare a braccetto con chi Grillo e Di Maio , fino a prima del 4 marzo, sosteneva che il ladro era proprio lui. No, anche in questa innaturale alleanza, alla pari della sentenza di ieri, non c’è proprio nulla di chiaro, né di convincente.

IL GIORNALE

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