Baobab, il porto franco dei migranti difeso dalla sinistra

In principio era un centro culturale dove si poteva mangiare della buona cucina africana. Situato in via Cupa, nei pressi della stazione Tiburtina, il Baobab nasce nel 2004 al posto di una vetreria abbandonata.

Ben presto finisce sotto la gestione della cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi, quello che sosteneva che con i migranti si facessero più soldi che con la droga. Ed è qui che, nel 2010, viene scattata la ‘foto simbolo’ dell’inchiesta ‘Mondo di mezzo’ (ormai nelle aule di tribunale la parola mafia è già stata accantonata) che ritraeva Buzzi insieme all’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno e all’ex ministro del welfare, Giuliano Poletti, all’epoca presidente nazionale di Legacoop.

Nel dicembre 2015, dopo gli attentati che hanno insanguinato Parigi, l’allora commissario straordinario di Roma Capitale, Francesco Paolo Tronca, decide di chiudere il centro Baobab che dal mese di maggio aveva “cambiato gestione”. Al posto del Baobab di Buzzi nasce il Baobab Experience, associazione capitanata dall’attivista Andrea Costa (già consigliere dell’ex III municipio per i DS nei primi anni 2000) che ha lo scopo di aiutare i migranti transitanti che arrivavano dalla stazione Tiburtina dando loro un pasto caldo, cure mediche e una tenda dove passare la notte. “Dal giugno 2015 sono 53 mila i migranti che sono passati per il Centro Baobab. Il 95% sono transitanti, non vogliono restare in Italia, vogliono andare, per la maggior parte, nel Nord Europa”, si legge in una nota del 2016 pubblicata sul sito dell’associazione. In estrema sintesi questi attivisti dell’“accoglienza senza sé e senza ma” hanno praticamente reso inagibile una piccola strada privata (via Cupa), invadendola di tende dove alloggiava temporaneamente chiunque. Formalmente sono migranti transitanti, ossia nordafricani che arrivano in Italia col mero scopo di ‘transitare’ dal nostro Paese al Nord Europa e, perciò, la loro identità non è sempre nota.

Il tutto avveniva con la complicità della sinistra nostrana. Basti pensare che, proprio il 3 dicembre 2015, a poche ore dalla chiusura del Baobab era già partita una petizione in favore del centro firmata da parlamentari come Pippo Civati e Luigi Manconi o personalità dello spettacolo come Fiorella Mannoia. Nell’ottobre 2016 è il deputato Stefano Fassina a chiedere in Campidoglio, in qualità di consigliere di Sinistra x Roma, l’intervento delle Istituzioni. L’ex viceministro all’Economia chiede che sia realizzato “un hub alla stazione Tiburtina per una prima accoglienza” e, per questo scopo individua il palazzo dell’ex centro ittiogenico di proprietà della Regione. L’obiettivo è, appunto, dare una sede fisica agli attivisti e ai migranti del nuovo Baobab che inizialmente sembrava essere il Ferrhotel ma, in base alle ultime informazioni, pare che sorgerà soltanto un Infopoint vicino alla stazione Tiburtina (il tutto con la modica cifra di 300mila euro).

Ma tornando alle cronache dell’ottobre 2016 si scopre che, vista l’impossibilità della giunta Raggi di trovare una sistemazione definitiva, il ‘parlamentino’ del II Municipio, a guida Pd, aveva approvato una mozione che prevedeva di accogliere i migranti proprio all’interno della sede del II Municipio, situato in via Goito. Attualmente, invece, gli attivisti del Baobab hanno trovato una nuova sede per la loro ‘tendopoli’ nel Piazzale Maslax, un’area così ribattezzata dal nome di un migrante che, proprio quell’anno, si tolse la vita. Dal 2015 a oggi le forze dell’ordine hanno effettuato oltre 20 sgomberi con l’intento di riportare l’ordine e la quiete in una zona, quella della stazione Tiburtina, che oltretutto viene vandalizzata anche dagli schiamazzi e dai litigi dei clochard che popolano il quartiere. Una situazione sempre più insostenibile per residenti e passanti e che, a distanza di anni, non sembra destinata a cambiare.

IL GIORNALE

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