Il piano di Di Maio col deficit al 2,5% M5S su Tria: ci dà solo un miliardo?
Una giornata particolare sfociata nello sfogo verbale contro il ministro Giovanni Tria. Luigi Di Maio è alle prese con il suo esordio in Cina, ma soprattutto è sotto pressione dopo il vertice di governo finito in stallo per la necessità di mantenere le promesse elettorali e scaldare la base pentastellata. Ecco perché va al braccio di ferro, mettendo a punto il suo piano: una manovra da 28 miliardi di euro e un rapporto deficit/pil che si possa spingere fino al 2,5%.
Le tensioni con il titolare del Mef? I vertici Cinque Stelle si interrogano a lungo sulle disponibilità indicate dal ministro, poi spiegano che «non c’è nessuna richiesta di dimissioni, che il ministro non è a rischio ma che deve tenere conto delle richieste, che sono parte del programma e che hanno ricevuto il sostegno di 11 milioni di italiani». Parole che servono per rassicurare i mercati e allo stesso tempo però suonano come un monito a Tria, un invito a recepire i desiderata del Movimento. I pentastellati sono convinti che il ministro possa reperire le risorse da destinare — al netto dello stop agli aumenti dell’Iva — ai punti cardine della manovra (10 al reddito di cittadinanza, 7 alla flat tax e 8 al superamento della Fornero, più altre per le altre voci di spesa) e anche Di Maio — prima di partire per il viaggio in Cina con gli imprenditori — lo ha dichiarato pubblicamente.
Il vicepremier ha messo sul tavolo un pacchetto che comprende oltre alle misure-chiave anche altri punti. Si va dagli sgravi alle imprese che assumono a tempo indeterminato, alla compensazione debiti crediti della Pubblica amministrazione, dalla creazione della banca pubblica degli investimenti alla costituzione di un fondo venture capital per le start-up innovative. È previsto anche un pacchetto di decertificazioni per le imprese.
Tra le richieste avanzate ci sono alcuni capitoli che riguardano battaglie del Movimento, come le misure per compensare i risparmiatori truffati o i tagli agli sprechi. Questi ultimi, però, sono declinati non solo come tagli alle scorte o a i voli blu o agli affitti d’oro. C’è anche un passaggio destinato ad aprire una discussione con le Regioni: quelle che non sforbiceranno i vitalizi agli ex consiglieri, avranno meno risorse dal governo centrale (almeno secondo lo schema proposto dal Movimento). E nel calderone della manovra potrebbero finire anche misure per incentivare i giovani all’iscrizione agli istituti tecnici. Il Movimento vuole mantenere le promesse elettorali, a costo di un braccio di ferro prolungato.
«I sondaggi? Non li guardiamo: è una questione di credibilità», dicono i pentastellati parlando della difficile trattativa sulla manovra. I Cinque Stelle hanno mal digerito l’offerta messa sul tavolo da Tria. Secondo quanto riferisce l’Adnkronos, il ministro nel vertice di lunedì avrebbe dato il suo assenso a rifinanziare il reddito di inclusione voluto da Matteo Renzi, aumentando il budget di un miliardo. Da qui la delusione del Movimento e di Di Maio, che ha deciso di insistere sul braccio di ferro con il Tesoro. «Far sentire la voce di un partito che ha raccolto il 32% dei consensi non è una forzatura», ribadiscono nel Movimento.
I round conclusivi — come anche la definizione del commissario per la ricostruzione a Genova —, però, avverranno dopo il ritorno del ministro del Lavoro dalla Cina (fino al 21 sarà a capo di una delegazione tra Chengdu e Pechino). Già il primo giorno Di Maio incontrerà il vice primo ministro Hu Chunhua e con lui, il giorno successivo, parteciperà alla cerimonia di inaugurazione della Western China International Fair. Secondo i rumors il capo politico del Movimento per la sua trasferta cinese avrebbe deciso di puntare su tre dossier precisi: Industria Italiana Autobus, agricoltura e nuove tecnologie e, soprattutto, Alitalia. Un viaggio che nelle intenzioni — ha dichiarato Di Maio — serve a «sostenere le nostre imprese del Made in Italy e allargare in rapporti commerciali con la Cina»
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