Manovra, tagli alla sanità, Regioni in allarme: a rischio le terapie
Luca Cifoni e Francesco Pacifico
Le Regioni chiedono due miliardi di euro in più per finanziare il fondo sanitario nazionale. Il ministero dell’Economia, a stento, è pronto a concedere uno, rispettando gli accordi presi per il 2019 tra i governatori e l’ex ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. In mezzo, in questa diatriba, c’è l’attuale inquilina del dicastero di viale Trastevere, Giulia Grillo. La quale, in questi mesi, ha promesso importanti interventi per recuperare nuove risorse o rimodulare il superticket del 10 per cento di ticket introdotto nel 2011. Nella stesura della prossima manovra non si litiga soltanto per trovare i soldi per il reddito di cittadinanza, la flat tax o la riforma della pensione con Quota cento. Stando all’intesa con il precedente governo, il fondo sanitario nazionale, con un miliardo in più, dovrebbe salire a 114,4 miliardi di euro nel 2019. Per i governatori non è sufficiente. Infatti dicono che ne servono due: il primo per pagare gli aumenti dell’ultimo contratto nazionale per il settore, l’altro serve per finanziare la spesa per i farmaci sperimentali: gli antineoplastici che in ambito oncologico si stanno mostrano meno tossici delle chemio, l’edaravone che può rallentare moderatamente la degenerazione motoria nei malati di Sla . «Anche se – nota Enrico Coscioni, delegato dal governatore campano Vincenzo De Luca per la sanità – queste risorse finiamo ormai per utilizzarle per tutte le cure più complesse».
IL PROVVEDIMENTO
Come detto, al Mef si sta lavorando con non molte difficoltà per trovare i soldi necessari da inserire in manovra per portare da 113,4 a 114,4 miliardi di euro il fondo nazionale sanitario. Di più non si vuole concedere. E in quest’ottica potrebbero cadere anche i propositi del ministro Grillo di intervenire sul super ticket di 10 % che dal 2011 si paga sulle ricette per le prestazioni di diagnostica e di specialistica. Questo provvedimento permette di recuperare 470 milioni, ma dal Tesoro fanno sapere che il risparmio totale è quasi doppio, visto che il balzello disincentiva le prestazioni improprie. Ogni riduzione, secondo gli uomini di Tria, va finanziata con le risorse già presenti nel Fondo sanitario nazionale. Per le Regioni questo schema è inaccettabile. «Il nostro livello di spesa in rapporto al Pil è inferiore a quello degli altri Paesi europei – osserva Alessio D’Amato, assessore alla Sanità del Lazio – e inoltre è ineludibile lo sblocco del turn over, visto che le regole sono basate su criteri anacronistici. Per non parlare degli investimenti, decisivi nella nostra Regione anche per mettere in sicurezza sismica le strutture ospedaliere». Ma centro e periferia dello Stato sono lontane anche sulle future assunzioni nel comparto sanitario. Oggi si può assumere soltanto se il singolo ente ha un costo del lavoro inferiore all’1,4% rispetto a quanto registrato nel 2004. Le regioni del Nord chiedono di modificarla, sostituendo a questo criterio il principio del pareggio di bilancio, tanto da aver spinto la conferenza delle Regioni ad aprire un tavolo di lavoro ad hoc. Quelle del Sud, forti dei tagli registrati nell’ultimo decennio grazie ai commissariamenti, vogliono salvare lo status quo perché sanno che così possono reclutare nuovo personale.
LA RIQUALIFICAZIONE
Nei giorni scorsi il premier Giuseppe Conte ha fatto sapere che terrà in considerazione le richieste che gli verranno dal ministro della Salute. Ma mai come nelle ore – e a tre giorni dalla presentazione della Nota di aggiornamento al Def propedeutica per segnare i confini della manovra – il ministro grillini deve fare i conti con i freni alla spesa che sta tentando di mettere il suo collega Giovanni Tria. Eppoi c’è da registrare una certa spinta del Carroccio per estendere la spending review anche in ambito sanitario. Intervistato dal Corriere della Sera, il vicepremier Matteo Salvini ha dichiarato: «Luigi Di Maio dice la sanità non si tocca, ma gli sprechi si devono toccare e i costi standard saranno importanti sotto questo punto di vista». Dall’inner circle del leader leghista dicono che «il riferimento è a una riqualificazione della spesa, magari ideando dei sistemi premiali per quelle regioni che risparmiano». Dal fronte pentastellato replicano che questa «è la risposta della Lega ai loro dubbi sulla pace fiscale, sulla Flat Tax e soprattutto sui decreti Immigrazione e Sicurezza».
IL MESSAGGERO