Il Def 2019 spaventa i mercati e lo spread sale. Ecco perché
Roma, 29 settembre 2018 – Il Def 2019 spaventa i mercati, come dimostra il tonfo di Piazza Affari ieri (-3,72%, bruciati 22 miliardi di capitalizzazione) e il balzo dello spread (269 punti). E non bastano le rassicurazioni del premier Giuseppe Conte (“Confidiamo che sia la ricetta giusta per la crescita e lo sviluppo sociale. Con la crescita che ridurremo il debito”). Ma perché tutto questo avviene? Ecco domande e risposte per fare chiarezza.
1) Perché se sia alza lo spread si annulla l’effetto espansivo della manovra?
Perché aumenta il costo dei titoli per finanziare il debito. I 2.342 miliardi di debito pubblico che gravano sulle casse del Tesoro sono una mole sempre più insostenibile. L’elevato ammontare del debito pubblico costringe il Tesoro a finanziarsi con continue emissioni nette, stimate in circa 430 miliardi di nuovi titoli di vario genere ogni anno. L’aumento dello spread (ieri a 267) con i titoli di Stato tedeschi dipende dal continuo aumento dei tassi d’interesse dei Btp, che ieri si sono impennati fino al 3,2% per i decennali. In gennaio i rendimenti dei Btp decennali erano al 2%. Questo significa che il Tesoro dovrà pagare 1,2% in più il denaro che prende a prestito emettendo questi titoli, ovvero circa 5,3 miliardi l’anno.
2) Perché 1 punto in più di deficit/Pil provoca la tempesta sui mercati?
Perché sforare il Patto di stabilità spaventa gli investitori. Il rapporto da rispettare tra deficit e Pil è stabilito nei trattati firmati dall’Italia e dagli altri Paesi Ue, oltre che nella nostra Costituzione. Il Trattato di Maastricht fissa tale livello al 3% e il 2,4% rientra in quel parametro, ma nel 2012 è stato approvato un Patto di Stabilità che impone agli Stati membri di abbassare il rapporto deficit/Pil fino al pareggio di bilancio. Alzarlo al 2,4% significa violare l’impegno, perdendo la fiducia di Bruxelles e dei mercati. Impegno più pressante per chi ha una situazione dissestata come l’Italia, il cui rapporto debito/Pil sfiora il 132%.
3) Cosa succede se la Ue apre la proceduta di infrazione e se le agenzie di rating ci declassano?
Il rischio bocciatura può mettere in fuga i capitali stranieri. A fine ottobre sia Standard & Poor’s sia Moody’s hanno in programma una revisione del merito di credito del Paese e c’è un rischio elevato di declassamento. Con un deficit del 2,4% Moody’s potrebbe non solo declassarci, ma rivedere in negativo le prospettive. Un passo che avvicina i Btp al livello di junk bond, cioè spazzatura. Molti fondi per statuto possono detenere solo bond sopra una determinata soglia di rating e non aspetteranno la bocciatura a junk per disfarsi dei BTp. Ci aspetta quindi un’altra fuga dei capitali esteri. A fine ottobre la Commissione dovrà valutare la manovra di bilancio e la bocciatura è molto probabile. A fine novembre Bruxelles potrebbe suggerire una manovra correttiva e la scelta del governo d’impuntarsi contro questa decisione potrebbe avere conseguenze imprevedibili.
4) Perché la Francia può alzare il livello del deficit senza ripercussioni e noi no?
Perché Parigi ha un debito basso e molto più sostenibile. La Francia, secondo il piano del presidente Macron, presenterà a Bruxelles una manovra economica con rapporto deficit/Pil del 2,8%, sotto il tetto del 3%, contro il 2,6% concordato a Bruxelles. Non uno sforamento, ma una flessibilità sui conti che vale circa 5 miliardi di euro. Ma Parigi si trova in una condizione diversa da Roma: ha un debito pubblico al 99,2%, più basso e più sostenibile di quello italiano per i mercati.
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