Tria adesso rompe il silenzio: ​”Ecco perché non mi dimetto”

Giovanni Tria rompe il silenzio. Il ministro dell’Economia dopo il varo della nota di aggiornamento al Def che annuncia una manovra al 2,4% del rapporto deficit-Pil, spiega al Sole24 Ore che resterà al suo posto.

“Sono ministro di un governo, e come tale sono un politico. Non ho mai minacciato le dimissioni. Il deficit al 2,4% è frutto di una negoziazione politica , e assicuro che c’è stata una mediazione e non da poco”. Il ministro a sorpresa rivendica le sue scelte sulla manovra e di fatto prepara il piano per far passare la manovra a Bruxelles: “Mi rendo perfettamente conto delle preoccupazioni della commissione – spiega il ministro – ma non si tratta assolutamente di una sfida alla Ue. Ma il punto in discussione è come operare in modo anticiclico in una fase di frenata dell’economia”. Il titolare del Tesoro poi respinge gli allarmismi dei mercati: “Il mio auspicio è che spiegando la manovra che stiamo preparando, e gli strumenti che mette in campo per l’obiettivo centrale della crescita, l’allarme rientri.

A preoccupare i mercati nel medio termine è la sostenibilità del debito: e noi vogliamo porre le basi per una sua discesa effettiva dal 2019, come presupposto per un’accelerazione della curva verso il basso dopo il primo triennio”.

A questo punto Tria spiega che le riforme volute da M5s e Lega sono necessarie: “Non avviare le riforme avrebbe finito per creare una prospettiva disastrosa: ancora bassa crescita, alta disoccupazione e difficoltà crescente a conciliare la discesa del debito con la stabilità sociale. Bisogna poi valutare che uno degli elementi di crescita è anche la stabilità politica. Aprire un conflitto su una manovra che avrebbe prodotto instabilità politica avrebbe determinato un trade off negativo”. Infine parla delle stime di crescita e le fissa all’1,6 per cento per il 2019 e all’1,7 per il 2020: “Nel triennio gli investimenti pubblici addizionali saranno di circa 15 miliardi e si recupererà metà della perdita accumulata negli ultimi dieci anni in termini di Pil. Nel 2021, la quota di deficit sopra il 2 per cento è tutta di investimenti pubblici aggiuntivi”.

IL GIORNALE

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