Giovanni Tria, disastro all’Ecofin: numeri a matita, silenzi e imbarazzi, lo mandano a casa prima del previsto

di Sandro Iacometti

Rimandato a casa a fare i compiti. Letteralmente. La giornata campale di Giovanni Tria, atteso all’ Eurogruppo dopo lo strappo con il governo sul Def, non era iniziata male. Malgrado le discordanze con i numeri snocciolati su altri quotidani lo stesso giorno dal premier Giuseppe Conte e da Paolo Savona, l’ intervista del ministro dell’ Economia al Sole 24 Ore di domenica, piena di riferimenti al taglio del debito, alla ripartenza della crescita e alla ripresa degli investimenti, aveva un po’ tranquillizzato i mercati. Ieri mattina tutti si aspettavano un’ altra impennata dello spread, ma il differenziale tra Btp e bund è rimasto sostanzialmente stabile, intorno ai 270 punti, e la Borsa è addirittura rimbalzata, recuperando in parte le perdite di venerdì.

Verso l’ ora di pranzo, però, da Lussemburgo sono iniziate ad arrivare le prime reazioni degli euroburocrati, e l’ aria è cambiata in fretta. Le rassicurazioni di Tria alla Ue sul debito che «calerà» sono scivolate su commissari e ministri economici senza cambiare di una virgola la prevedibile ostilità dell’ Europa sul mancato rispetto degli impegni di correzione del deficit. Ad aprire la raffica di critiche ci ha pensato il ministro francese Bruno Le Maire, secondo cui tutti i Paesi «sono legati» e i patti «si rispettano». Ancora più chiaro il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici, che si è detto disponibile al dialogo e al lavoro comune. Aggiungendo, però, subito dopo: «Quello che so per adesso è che il deficit del 2,4% rappresenta una deviazione molto molto significativa rispetto agli impegni presi e non compatibile con le nostre regole».

Ma a far infuriare tutti, più del deficit al 2,4% e il mancato rispetto del percorso programmato verso il pareggio di bilancio, sono state le mani vuote di Tria. Il ministro, costretto dal governo all’ ultimo momento a stracciare tutte le sue tabelle, nessuna delle quali contemplava l’ ipotesi più ardita di un rapporto deficit/pil così lontanto dalla linea del Piave dell’ 1,6% risolutamente definita dal ministro, si è presentato al vertice europeo senza neanche un brogliaccio. «Cercherò di spiegare quello che sta accadendo», si è limitato a dire.

Senza numeri – Ma l’ accoglienza è stata glaciale. «Aspettiamo la bozza di legge di Stabilità ma a prima vista i piani di bilancio italiani non sembrano compatibili con le regole del Patto», ha detto seccato il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis. «Siamo preoccupati», gli ha fatto eco il presidente dell’ Eurogruppo, Mario Centeno, «ma ci servono cifre e numeri». Già, i numeri. Per tentare di frenare il dilagante malcontento, Tria ha fatto sapere che sarebbe rientrato frettolosamente a Roma per scriverli. Anche a costo di perdere l’ Ecofin di oggi, il vertice dei ministri economici della Ue in cui, stando agli annunci dei leader di governo in Italia, il titolare di via XX Settembre avrebbe dovuto mostrare i muscoli.
È difficile ricordare a memoria un ministro che fugge dall’ Eurogruppo. Restare lì a Lussemburgo, d’ altra parte, non aveva più molto senso. Nel corso della riunione, quando Le Maire ha chiesto di affrontare il caso Italia, non all’ ordine del giorno, Tria non ha potuto fare altro che informare i colleghi che i negoziati sul Def sono ancora in corso. Un siparietto che, stando a quanto riferito da Moscovici, alla fine ha addirittura suscitato «molte simpatie» verso il ministro. Per non perdere del tutto la faccia, prima di togliere anticipatamente le tende, Tria ha annunciato due incontri bilaterali con Moscovici e Dombrovskis.

Molto rigidi – La voce che si è sentita in serata, però, è stata quella di Jean Claude Juncker. E non c’ è più traccia di comprensione umana. «Se l’ Italia vuole un ulteriore trattamento speciale», ha detto il presidente della Commissione Ue, «ciò significherebbe la fine dell’ euro. Quindi bisogna essere molto rigidi».
Esaurite le poche cartucce a sua disposizione, Tria si è congedato dicendo di essere «molto occupato» e pronunciando frasi dalla scarsa comprensibilità: «Questa manovra è di crescita, se vinciamo la scommessa della crescita tutto va bene, sennò cambieremo manovra come sempre bisogna fare». Quanto a Juncker, ha replicato il ministro, «non ci sarà alcuna fine dell’ euro. Non ho parlato con lui, sarà una sua opinione». Nel frattempo, nella Capitale, Conte ha spiegato a Sergio Mattarella che il deficit al 2,4% non è in discussione. Di Tria, fanno sapere da Palazzo Chigi, non si è parlato.

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