La partita (vera) del potere politico
Il «tempo» che interessa agli storici e ad altri osservatori delle vicende pubbliche è per lo più il medio-lungo periodo. Il «tempo» dei politici è il brevissimo periodo. I primi possono chiedersi, ad esempio, se gli attuali governanti italiani siano sul punto di diventare una forza capace di egemonizzare il Paese per molti anni. I suddetti governanti hanno tutt’altra preoccupazione: il loro (legittimo) desiderio è «sfangarla» qui e ora, il loro orizzonte temporale si estende al massimo fino alle elezioni europee della prossima primavera. Dal loro punto di vista si tratta di arrivare al meglio a quell’appuntamento. Poi si vedrà. Naturalmente, qualunque azione di oggi genera effetti che, nel corso del tempo, si sommano agli effetti delle azioni di domani e di dopodomani: l’esito, nel medio-lungo periodo, sarà l’affermazione di una egemonia (per definizione, di lungo respiro) oppure la rovina di chi vi ha aspirato.
Egemonia o rovina: il risultato finale può dipendere da molte cose. In parte, dalle decisioni dei governanti in carica sulle questioni più rilevanti, in parte dalle reazioni del contesto (internazionale, europeo), e in parte ancora dalle scelte delle opposizioni, le quali possono essere così avvedute ed efficaci da danneggiare il governo (eroderne i consensi) oppure così maldestre da favorirlo. Al momento il governo, stando ai sondaggi, è in piena luna di miele. Gaffe ed errori non hanno (per ora) effetti negativi sugli atteggiamenti degli elettori.
Non hanno effetti negativi né gli eccessi propagandistici dei protagonisti (Di Maio e Salvini), né le insensatezze di comprimari e comparse: si tratti delle minacce ai tecnici del portavoce del premier oppure del proposito del ministro addetto di mettere bar e ritrovi vari sul ponte da ricostruire a Genova, o la battuta (davvero da standing ovation) del Guardasigilli 5 Stelle secondo cui il Csm «fa politica» se non vota il candidato «politico» dei 5 Stelle.
Molto, ovviamente, dipenderà dalle reazioni del mondo esterno. A cominciare dalle reazioni alla manovra finanziaria testé varata. Nello scenario più favorevole per il governo, Europa, investitori e agenzie di rating, in nome del fatto che l’Italia è troppo grande per fallire e che la sua rovina sarebbe dannosa per il resto del mondo potrebbero decidere di fingere: fingere che ci sia «affidabilità» dove non c’è. Ciò darebbe ai governanti un certo respiro e un certo margine d’azione. Nel medio termine questo trionfale ritorno alla spensieratezza finanziaria della Prima Repubblica metterebbe (metterà) in grossi guai il Paese, soffocandolo di nuovo con dosi massicce di statalismo e di assistenzialismo. Ma, nel frattempo, i governanti avrebbero la possibilità di creare, come ai tempi della Prima Repubblica, solidi legami con estese clientele.
Nello scenario meno favorevole — verso cui sembrano sospingerci la corsa al rialzo dello spread e le prime reazioni di Bruxelles — una dichiarazione europea di inaffidabilità li costringerebbe a una scelta: cambiare subito passo (come furono costretti a fare i governanti greci in simili circostanze) oppure tenere duro con conseguente esclusione dall’eurozona, facendoci precipitare in una situazione «venezuelana». Persino in quest’ultima eventualità avrebbero ancora qualche carta in mano. Cercherebbero — hanno già cominciato a farlo — capri espiatori, darebbero la colpa ai complotti dei poteri forti: la crudele Germania, la finanza internazionale, le demoplutocrazie (speriamo che almeno ci risparmino la lobby ebraica).
Poi, a decidere dell’esito finale (egemonia o rovina) conteranno anche le scelte delle opposizioni. Intendo per «opposizioni» quelle vere, ossia la parte del Pd che rifiuta di allearsi ai 5 Stelle e la parte di Forza Italia che non vuole confluire nella Lega. È inutile continuare a lamentare che non ci sia alcuna efficace opposizione. È ovvio che al momento non c’è. Sarebbe strano se ci fosse. Non si prende una mazzata come quelle che Pd e Forza Italia si sono presi il 4 marzo (mazzata meritata: se non altro, per la loro sciagurata scelta di un sistema elettorale che ha favorito i loro avversari) e poi, come se niente fosse, si è di nuovo subito vispi e pimpanti. È come dopo essersi procurati una brutta frattura: sono inevitabili una lunga convalescenza e molta terapia. Concesso dunque alle opposizioni il tempo necessario per riprendersi, noto che esse dovranno scegliere fra due linee di azione: l’opposizione simbolica o di «testimonianza», tesa solo a sopravvivere (contando sul fatto che in regime di proporzionale hai comunque buone possibilità di essere rieletto se ti coltivi i tuoi quattro gatti di elettori) oppure l’opposizione effettiva, che non vuole solo sopravvivere ma vincere il prossimo round e, per questo, pesa ogni parola che dice e fa ogni scelta che fa in funzione di uno scopo: costruire una alternativa, una coalizione di forze in grado, domani, di candidarsi alla guida del Paese.
Faccio un esempio che serve a capire la differenza fra opposizione simbolica e opposizione effettiva. Prendiamo il decreto sicurezza. Si può fare un grandissimo favore a Salvini scegliendo la strada dell’opposizione simbolica: parlare solo di razzismo, xenofobia, diritti umani violati eccetera. Dato che c’è una legge proporzionale, la minoranza che condivide questa impostazione sosterrà chi l’ha scelta. Ma il grosso del Paese sarà altrove. Per fare concorrenza al governo su questo terreno occorre adottare una posizione realistica: occorre costruire una proposta che, mettendo fine alle insensatezze del passato (ad esempio, togliere lo status di rifugiato a chi delinque è puro buon senso) sappia tenere insieme rigore e massima rassicurazione possibile sulla sicurezza dei cittadini, controllo dei flussi (si può fare: come ha dimostrato Marco Minniti, ministro dell’Interno nel precedente governo), e riattivazione di canali per quella regolare e legale (di cui il Paese, per ragioni demografiche, ha bisogno). Costruire su queste e altre questioni cruciali una posizione realistica significa rifiutare la testimonianza e scegliere al suo posto l’opposizione effettiva. Sfortunatamente, fare opposizione effettiva è più scomodo e difficile che fare opposizione-testimonianza.
Chi oggi pensa che i nuovi governanti non ce la faranno a imporre una duratura egemonia non crede che sarà per merito dell’opposizione. Pensa piuttosto che conterà la reazione del contesto (internazionale ed europeo). Nonché, alla lunga, gli errori del governo. Pare, ad esempio, che alcuni fra i genovesi che applaudirono i nuovi governanti dopo il crollo del ponte si siano già pentiti.
CORRIERE.IT
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