Draghi a Mattarella: “Attenti alla manovra. Non sottovalutate lo spread e le Borse”
A sinistra il presidente della Bce, Mario Draghi con, al centro, Pierre Moscovici
Non era la prima volta, ma certo non accade spesso. Mercoledì mattina Mario Draghi è salito al Colle per un incontro riservato con Sergio Mattarella. I due si consultano il più delle volte al telefono, ma con lo spread alle stelle e il governo sotto pressione hanno preferito vedersi a quattr’occhi. L’incontro non è stato reso noto, e la ragione è di prudenza: con un comunicato ufficiale si sarebbe data eccessiva enfasi a un momento già molto delicato di suo. Il presidente della Banca centrale europea ha voluto rappresentare di persona i rischi cui andrebbe incontro l’Italia, nel caso in cui i mercati iniziassero ad accanirsi contro i titoli pubblici, provocando un ulteriore aumento degli spread e dei tassi di interesse fino a livelli insostenibili. Draghi ritiene (e di sicuro al presidente ne avrà parlato) che nel governo italiano ci sia una forte sottovalutazione del contesto in cui si sta scrivendo la manovra.
Cartucce quasi esaurite
Negli ultimi due anni e mezzo il «Quantitative Easing» della Bce ha contribuito a tenere basso il rischio Paese e il costo del debito. Dal primo di ottobre, però, il piano di Francoforte è entrato nell’ultima fase che terminerà il 31 dicembre. Partita da un totale di 80 miliardi al mese, la Banca centrale europea ora è autorizzata ad acquistare titoli per soli 15 miliardi. Il programma continuerà a calmierare i prezzi grazie al reinvestimento dei titoli già acquistati, ma si tratterà di effetti trascurabili rispetto ad una possibile ondata di vendite. Insomma, ormai gli strumenti a disposizione di Draghi sono terminati: dal primo gennaio l’Italia sarà senza rete. In caso di difficoltà avrebbe come unico salvagente il ricorso al cosiddetto «Omt», lo strumento di sostegno finanziario che costringerebbe Roma ad un programma concordato con la Commissione europea e il Fondo salva-Stati. Di fatto il commissariamento del Paese.
Garanzie dal vice-premier
Nel pomeriggio di mercoledì pure Matteo Salvini si è recato riservatamente da Mattarella, e l’oggetto del colloquio non si è limitato al decreto immigrazione. I ben informati sostengono che le preoccupazioni di Draghi sarebbero in qualche misura riecheggiate nella conversazione con il vicepremier. Sempre secondo fonti parlamentari, il leader della Lega avrebbe negato qualunque intenzione di causare fuoriuscite dall’euro, attribuendo semmai ad altri l’intenzione di alimentare la spesa facile. In che misura questi due incontri abbiano contribuito ad alzare il livello della consapevolezza politica, è impossibile dirlo. Fatto sta che nelle stesse ore si è consolidata a livello di governo la scelta di riportare il deficit su una parabola discendente. Non più un 2,4-2,4-2,4 nel triennio (che avrebbe contrastato con l’obiettivo di medio termine del pareggio, fissato nella legge 243, sollevando insuperabili problemi costituzionali), ma un più blando 2,4-2,1-1,8 che perlomeno evita un frontale con l’articolo 97 della Carta. L’Italia resterà fuori delle regole europee, la bocciatura di Bruxelles ci sarà comunque, ma per ora si sono evitate le conseguenze peggiori sui mercati.
Due tacche dal baratro
La scommessa dell’ala più radicale della maggioranza sbaglia bersaglio: più che l’atteggiamento delle istituzioni Ue, l’Italia deve temere il declassamento da parte delle agenzie di rating. Tempo un mese, ce ne sono due che potrebbero prendere una decisione simile: Moody’s e Standard and Poor’s. L’Italia è ancora due «tacche» sopra il livello spazzatura e, per nostra fortuna, finché il giudizio dell’ultima delle quattro grandi agenzie – la canadese Dbrs – sarà «investement» il Paese non corre il rischio di essere tagliata fuori da tutto il sistema di finanziamento di Francoforte, fondamentale per l’operatività delle banche. Ma il singolo downgrading delle due agenzie più grandi sarebbe, già da solo ,in grado di provocare danni incalcolabili, moltiplicando la sfiducia sui mercati. Per cui la prudenza del governo è d’obbligo.