Tutti in fuga da Di Maio E ora rischia la poltrona

Passano i giorni e, ora dopo ora, Luigi Di Maio resta il solo vero frontman di un Def su cui si vanno moltiplicando dubbi e perplessità.

Non ci sono, infatti, solo i timori degli euroburocrati di Bruxelles o dei mercati finanziari che, non è un mistero, con l’Italia sono mai stati teneri. Ma anche le diffidenze di buona parte del mondo produttivo del nostro Paese che stanno lentamente ma inesorabilmente facendo breccia nella Lega. Non è affatto un caso, dunque, che tutti i protagonisti della partita del Def stiano seguendo la via della prudenza. A partire da Giuseppe Conte che sa bene quanto le previsioni avanzate nella Nota al documento di politica di bilancio rischino seriamente di far saltare l’intero banco. Ecco perché, pur prigioniero di M5s e Lega, il premier ha studiato un possibile piano B nel caso lo spread andasse fuori controllo (ieri ha chiuso a 303 dopo aver toccato quota 310). Anche Giovanni Tria nelle ultime ore ha preferito la via dell’immersione, anche perché dopo avere ceduto sul rapporto deficit-Pil al 2,4% l’immagine che meglio lo racconta è quella data dall’esilarante imitazione di Maurizio Crozza («hanno preso la mia famiglia, avvertite l’Onu», è il cartello che tira fuori il ministro-ostaggio del governo). Infine Matteo Salvini. Il leader della Lega, infatti, difende sì un Def che porta anche la sua firma, ma restando non uno ma dieci passi indietro e preferendo concentrare la sua comunicazione su altri temi. Quello della sicurezza, su tutti. Ma ieri anche Riace e l’asse con Marine Le Pen. D’altra parte, non è un segreto che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti si sia fatto in questi giorni portatore delle preoccupazioni del mondo produttivo del Nord e del Nord-Est in particolare.

Così, Di Maio è restato l’unico in prima fila nel difendere un Def che nelle prossime settimane potrebbe fare deflagrare uno scontro con l’Ue e i mercati finanziari le cui conseguenze – anche sui risparmi degli italiani – sono imprevedibili. Insomma, per dirla con Vittorio Gassman nell’Audace colpo dei soliti ignoti, «quei quattro cornuti m’hanno rimasto solo». Una situazione ad alto rischio per il vicepremier, che per recuperare il terreno perso su Salvini in questi mesi di governo deve per forza portare a casa il reddito di cittadinanza. Per questo è disposto a giocarsi il tutto per tutto. Perché, vociferano nel Movimento, il suo ruolo di leader è sempre più in discussione. Il consenso perso a favore della Lega e le concessioni a Salvini sul fronte immigrazione lasciano molti dubbi tra i big dei Cinque stelle. A partire da Alessandro Di Battista che in privato è da qualche settimana che non lesina critiche. «Luigi si sta facendo mettere all’angolo», confidava giorni fa a un collega di partito. Una riflessione che probabilmente condivide un altro esponente di peso dei Cinque stelle come Roberto Fico. Proprio ieri il presidente della Camera era a Bruxelles dove ha incassato le lodi del commissario Pierre Moscovici che ha elogiato il suo «apprezzabile europeismo». E chissà cosa pensa Beppe Grillo. Molti, infatti, lo raccontano distante. Di certo, c’è che il video in cui il comico genovese commenta la copertina che Forbes ha riservato a Di Maio è piuttosto irridente. «C’aggia fà cu te, sì ‘nu guaglione napoletano», lo sfotte Grillo in un video che poi posta sul suo blog.

L’aria intorno a Di Maio, dunque, si sta facendo pesante. Complici anche le ripetute scivolate di Rocco Casalino, potentissimo portavoce del premier ma legato a doppio filo al ministro del Lavoro e dello Sviluppo. Si dovesse per qualche ragione imboccare la via di una crisi di governo, insomma, nel Movimento quella di Di Maio potrebbe essere la prima testa a saltare. Sarebbe lui il responsabile del fallimento, e avanti un altro per l’eventuale campagna elettorale per le Europee. Uno scenario sul quale starebbero ragionando anche negli uffici milanesi della Casaleggio Associati.

IL GIORNALE

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