La manovra anti-Europa mette in allarme anche i commercianti

Preoccupati perché fare deficit non significa necessariamente favorire la crescita, perché l’inasprirsi dei toni tra Roma e Bruxelles non fa bene all’economia reale.

E anche perché i conti del Def non tornano.

Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli al quarto forum internazionale di Conftrasporto non nasconde i timori della categoria. Ieri è stata la giornata dello spread di nuovo oltre quota 300 e di Piazza Affari di nuovo con il segno meno, il tutto a causa del No di Bruxelles ai conti presentati dal governo nel Def.

«Siamo preoccupati», conferma Sangalli. «Questa è una ragione in più per verificare, magari anche attraverso un confronto costruttivo con la Commissione europea, come questo maggiore deficit possa tradursi in più investimenti, più crescita e più sostenibilità del debito pubblico».

Tutto sta nell’utilizzare al meglio le risorse che sono state stanziate. Ma preoccupa anche la quantità di risorse messe sulla carta nella nota di aggiornamento del Def. Il centro studi di Confcommercio ha fatto il calcolo di quanto costano le misure del programma di governo. Più dei 40 previsti, circa 53 miliardi, quindi il 2,9% del Pil, e non il 2,4%, ha spiegato il il direttore dell’Ufficio Studi Mariano Bella. «Da questo punto in poi si innesta la manovra con interventi sui quali non abbiamo sicurezza, ma sui quali abbiamo potuto fare qualche riflessione molto cauta e prudenziale». Il conto potrebbe quindi salire, con effetti negativi sia nei rapporti con le istituzioni europee, sia nella credito che i mercati attribuiscono al Paese.

L’unico modo per fare quadrare i conti è fare crescere il Pil. «Questa – osserva – è una possibilità che noi auspichiamo che si verifichi, nel senso che provochi uno choc talmente forte che nel giro di qualche mese triplichi il tasso di variazione del Pil congiunturale, dallo 0,2% odierno allo 0,6% nel secondo quarto del 2019». Oppure il governo dovrà agire sul fronte della spesa, con un taglio alle spese fiscali, compresi gli sgravi alle spese sanitarie delle famiglie. «Allora – conclude Bella – non sarebbe più la manovra del popolo ma la manovra di una parte del popolo finanziata dall’altra parte del popolo nella speranza di essere dalla parte giusta».Poi c’è il braccio di ferro con l’Europa. Sangalli sottolinea come l’impennata nei rendimenti dei titoli di stato italiano e l’impatto sull’economia, banche comprese, ci ricordi «l’importanza di politiche di bilancio equilibrate in un Paese in cui il rapporto tra debito pubblico e Pil supera il 130 per cento».

Tocca a noi, quindi. Stesso concetto che ha animato gli interventi del Parlamento europeo Antonio Tajani, anche lui a Cernobbio, fortemente critico con il governo Conte. «Siamo sotto attacco». Il vicepremier Di Maio se la prende con l’Europa e aspetta che gli equilibri politici cambino dopo le elezioni? «La nuova Commissione Europea ci sarà alla fine dell’anno, ma il problema non è né Juncker né Moscovici, che comunque farebbero bene a starsene zitti. Il problema sono i mercati e la manovra che è fatta male. Il problema è a Roma».

Tajani, vicepresidente di Forza Italia, chiede all’esecutivo di correggere il Def. «Chiedo ancora una volta al governo di fare marcia indietro, di fermarsi, prima che sia troppo tardi. Il problema non è Bruxelles o lo spread, il problema sono i conti degli italiani». Serve «un cambio di direzione della manovra», che tenga conto dei rischi che stiamo correndo. Ad esempio che la crescita sia inferiore al previsto. Che il debito pubblico aumenti e che di conseguenza le banche si ritrovino a stringere i rubinetti del credito a famiglie e imprese. Che gli stessi istituti di credito non diventino scalabili e finiscano in mano di investitori stranieri.

IL GIORNALE

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