L’altro spread
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Altrui. Il bestiario della burocrazia compilato dalla Cna non lascia spazio a dubbi: chi vuole avviare un’attività economica deve affrontare da 65 a 86 adempimenti e mettere in conto di spendere anche 20mila euro prima di alzare la serranda. E siamo solo all’inizio, il bello deve ancora venire.
Lo sanno artigiani, commercianti, partite Iva, industriali piccoli, medi e grandi, società di servizi, lavoratori autonomi di tutti gli ordini e gradi. E lo sa, all’estero, chi deve valutare se, come e quanto investire sul Belpaese. Le cose, va detto, sono leggermente migliorate, ma non può essere una coincidenza se, a conclusioni analoghe si arriva sfogliando l’ultimo indice sintetico di attrattività del sistema Italia realizzata dal Censis per l’Associazione delle banche estere in Italia (Aibe) e relativo agli anni 2014-2018: nella classifica generale al primo posto c’è la Germania, seguita da Cina e Usa, Gran Bretagna, Spagna e Francia. L’Italia è terz’ultima. E a determinare il brutto risultato risulta essere il sistema amministrativo declinato in carico fiscale, tempi della giustizia civile, carico normativo e burocratico.
Tutto questo, ovviamente, non riguarda il governo giallo-verde. Sono spread con gli altri Paesi che l’Italia si tira dietro da decenni nonostante riesca a compiere il miracolo di rimanere un’economia ancora forte, solida e competitiva sui mercati internazionali. Tutto questo, però, potrebbe valere da solo come un bell’indice di priorità per aiutare chi produce Pil o, per chi avesse voglia di osare, per migliorare la qualità della spesa pubblica. Siamo sicuri, per esempio, che ciò che cittadini e imprese ottengono in cambio delle tasse siano servizi all’altezza? Sicuramente in molti casi sarà così, ma è lecito pensare che si possa fare meglio. Ne offre uno specchio, per esempio, la classifica che ogni anno la Cgia di Mestre sforna per individuare il no tax day: il primo giorno dell’anno nel quale si lavora per se stessi e non per pagare le tasse. Quest’anno è stato il 3 giugno, il giorno dopo la Festa della Repubblica. Nel 2017 furono necessari 153 giorni per liberarsi degli impegni con l’erario, 38 giorni in più rispetto al 1980. Il conto è un’approssimazione teorica, ma rende bene l’idea. In Europa, sempre per la Cgia, solo la Francia chiede 21 giorni in più dell’Italia, in Germania hanno festeggiato il giorno della liberazione fiscale sette giorni prima, in Olanda 12, nel Regno Unito 27 e in Spagna 28. Gli irlandesi se la cavano con soli 86 giorni. Il lavoro non manca.
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