Nelle polemiche di questi giorni sulla manovra economica del governo ci sono due livelli di attenzione molto diversi tra loro. Il primo è quello dell’Unione europea, della Banca centrale europea, del Fondo monetario Internazionale, della Banca d’Italia e così via: anche ieri una pioggia di moniti da sfondare gli ombrelli. Poi c’è la pubblica opinione, che pensa allo spread oltre 300 come una roba da Lor Signori, una cosa che non la riguarda. Sarebbe corretto informarla che così non è. La maggioranza di governo ha dalla sua un dato incontestabile: non cresciamo da vent’anni, qualcosa bisogna inventarsi. Il problema è a quale prezzo. Tutte le operazioni populiste spericolate, dalla Grecia al Venezuela, sono finite in tragedia. Noi siamo un Paese diverso, ma dobbiamo tenere i piedi per terra. Lo spread è il differenziale che i titoli di Stato dei diversi paesi pagano rispetto a quelli tedeschi a 10 anni.

Nella crisi del 2011 peggio di noi stavano Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. Eravamo i Piigs, in inglese ‘porcellini’. Oggi – dopo aver pianto lacrime amarissime – stanno tutti meglio di noi salvo la Grecia. Ma se noi giriamo intorno ai 300 punti e la Grecia è a 390, l’Irlanda è a 56, la Spagna è a 117, il Portogallo a 152. Roba impensabile fino a pochi mesi fa. Che cosa costa tutto questo? Al signor Rossi non importa se l’anno prossimo lo Stato dovrà spendere circa 5/6 miliardi di interessi in più, ma quei 5/6 miliardi, oltre a essere un debito di tutti noi, saranno una bella sommetta non disponibile per essere distribuita ai cittadini. Inoltre, chi ha comperato dei titoli di Stato a maggio e volesse rivenderli adesso, ci rimetterebbe il 15 per cento. Meglio, se possibile, conservarli fino alla scadenza.

È vero che i mutui a tasso fisso non risentiranno dello spread cattivo, ma i nuovi saranno più cari. Le banche italiane, che si erano faticosamente risanate rispetto ai tempi della crisi, hanno perso in tre mesi un quarto del loro valore, proprio per la svalutazione dei titoli di Stato italiani che ne gonfiano il portafoglio. Non sono fatti nostri? Andate a chiedere un prestito e sentite che cosa vi rispondono. Il maggior costo del denaro è micidiale per una economia che deve ripartire. E se non riparte l’economia viene giù tutto. Da inguaribile ottimista, spero ancora che tra pochi giorni le agenzie di rating non massacrino l’Italia. Altrimenti lo spread esploderebbe, le banche sarebbero al collasso, eccetera eccetera. Il governo del ‘tireremo dritto’ queste cose le sa benissimo e sta lavorando perché la settimana prossima la manovra sia più digeribile all’estero. Questo comporta anche un ragionevole adattamento delle promesse a tempi compatibili. È vero che Lega e 5 Stelle vogliono andare all’incasso prima delle elezioni europee, esattamente come fece Renzi nel 2014 con gli 80 euro. Sarebbe tuttavia ragionevole un leggero disarmo bilanciato, offrendo un antipasto rinforzato prime delle elezioni europee e rinviando il pranzo completo un po’ più in là. Con un avvertimento: che il vestito di Di Maio non abbia un pizzo in più di quello di Salvini. Altrimenti gli equilibri saltano…

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