Flat tax delle partite Iva, il tetto a 65 mila euro: la pressione fiscale non cala
di Michele di Branco
Nel documento di bilancio consegnato dal governo alla Commissione europea, c’è più di una sorpresa. La prima, e probabilmente la più rilevante, è che nonostante l’introduzione della flat tax per le partite Iva e il taglio dell’Ires, la pressione fiscale non diminuirà. Resterà inchiodata al 41,8%. Effetto della cancellazione di 2 miliardi di sconti alle stesse imprese (Ace e Iri) e della stretta (4 miliardi) su banche e assicurazioni. Sulla flat tax, poi, c’è la conferma che nel 2019 la soglia di reddito per pagare la tassa piatta al 15% sarà di 65 mila euro, anche se il sottosegretario Massimo Bitonci ha assicurato che nel 2020 il tetto salirà a 100 mila.
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Sulla pace fiscale il lungo braccio di ferro tra Lega e 5 Stelle ha partorito un accordo che non è certo il saldo e stralcio, quasi senza limiti, al quale puntava il Carroccio per consentire ai contribuenti in difetto con l’erario di sanare qualunque somma evasa. I pentastellati hanno infatti imposto un tetto di 100 mila euro (mentre il partito di Matteo Salvini guardava a quota un milione) e preteso che si possa dimostrare di aver comunque presentato dichiarazioni negli ultimi cinque anni. Insomma, i cosiddetti evasori totali sono esclusi (ma c’è da dubitare che avrebbero colto l’occasione per autodenunciarsi), mentre il governo tende una mano a chi ha occultato parte dei propri redditi.
IL COMPROMESSO
Il risultato del compromesso che ricorda l’operazione messa a punto dal governo Berlusconi nel 2002, in ogni modo, appare come una beffa per chi ha dichiarato e versato sempre tutto regolarmente. Il provvedimento stabilisce infatti un’aliquota al 20% per sanare il pregresso di chi ha già presentato la dichiarazione dei redditi. Sarà prevista l’opzione di dichiarazione integrativa ma con la possibilità di far emergere fino ad un massimo del 30% in più rispetto alle somme già dichiarate. Fatti due calcoli si scopre, ad esempio, che due contribuenti nelle medesime condizioni (reddito reale di 50 mila euro) finiranno per pagare un carico di tasse molto differente. Il primo, dichiarando tutto, ha già versato allo Stato circa 15 mila euro, il secondo, dopo aver dichiarato 40 mila euro in un primo tempo e potendo sanare gli altri 10 mila in un secondo godrà di un risparmio di imposta di oltre 2 mila euro. Con un taglio di imposta del 14%. Ovviamente le differenze sarebbero state molto più ampie se fosse passata l’impostazione originaria della Lega che puntava su una terna di aliquote (6, 10 e 25%) da corrispondere a seconda delle condizioni economiche. Una architettura che è rimasta in piedi fino all’ultimo, ma giudicata inaccettabile per i 5 Stelle. I quali hanno comunque dovuto accettare di spostare in un altro provvedimento l’inasprimento delle pene per gli evasori (carcere compreso): questa materia non può entrare nelle legge di Bilancio. Il pacchetto di sanatorie messo a punto da Palazzo Chigi prevede altre tre strade.
La versione più favorevole in assoluto è la cancellazione delle cartelle Equitalia di importo inferiore a mille euro relative al periodo 2000-2010. L’operazione, che riguarda 10 milioni di cittadini, consentirà di eliminare il 25% di tutte le cartelle presenti nel magazzino. E a nulla sono valsi i mal di pancia dei tecnici del Tesoro, che hanno insistito a lungo nell’evidenziare il problema della disparità di trattamento con chi ha già aderito alla rottamazione bis e che con la prima rata, tra l’altro versata poco, ha già corrisposto al fisco il 40% del dovuto. Sugli importi superiori a mille euro e comunque successivi al 2010 è previsto il versamento per intero delle imposte contestate con la cancellazione però delle sanzioni e degli interessi di mora, mentre gli interessi legali (lo 0,3% annuo) verrebbero confermati.
Da questa Rottamazione ter, che di fatto assorbirà la bis spalmando i versamenti su 10 rate nell’arco di 5 anni, ci si attende un incasso di 11 miliardi di euro.
IL MESSAGGERO