L’esortazione europeista del Quirinale
C’è tutto il senso, se non di una discesa in campo, quantomeno di un ruolo attivo del capo dello Stato, nelle parole che Mattarella pronuncerà domani, in occasione della cerimonia di commemorazione di Giovanni Gronchi: una esortazione, piuttosto ferma, al dialogo con l’Europa, e dunque anche con la Commissione. Per una non voluta coincidenza, poche ore dopo, al Quirinale salirà il commissario europeo Pierre Moscovici. Una visita formalmente di “cortesia”, ovviamente apprezzata dal Quirinale. Nella sostanza, il commissario agli Affari economici illustrerà a Mattarella le richieste dell’Ue. Quali sono cioè i punti della manovra da cambiare, per evitare una bocciatura.
È uno scenario senza precedenti quello che si configura. Lo scenario di un conflitto senza tanti margini di mediazione. Perché per il governo la manovra è immutabile. E perché la Commissione ha già lasciato intendere che di margini di deroga alle regole non ce ne sono, pena la perdita di credibilità dell’Eurozona con evidenti ricadute sui mercati. È chiaro che, politicamente parlando, sulla manovra italiana è già in atto la campagna elettorale per le Europee. Vista dall’Europa una eccessiva flessibilità nei confronti dell’Italia sarebbe, al tempo stesso, una resa e una legittimazione politica dei sovranisti. Passerebbe cioè il principio che sia lecito giocare pericolosamente con il terzo debito pubblico più alto al mondo, quando invece il messaggio deve essere esattamente l’opposto di qui al 26 maggio. Vista dal governo italiano, il conflitto con l’Europa alimenta la narrazione perfetta per trasformare la campagna elettorale in un’ordalia del popolo contro i suoi nemici, l’Europa in primis, e con essa i “poteri forti” e le “tecnocrazie”.
Tre settimane, per evitare una prospettiva da incubo, col declassamento delle agenzie di rating e la bocciatura della manovra, un combinato disposto che rischia di far divampare il gran falò dei mercati. In questo contesto sbaglia chi immagina che il presidente della Repubblica possa platealmente impedire che la manovra venga presentata. Anzi è piuttosto scontato che non negherà la controfirma, perché un atto del genere presupporrebbe delle clamorose violazioni di costituzionalità, di cui al momento non si ravvisa traccia. Chi è di casa al Quirinale nota però che “c’è ancora il tempo per una mediazione, per cercare la quale però bisogna essere in due”.
Ed è proprio l’esortazione a una mediazione il senso del discorso di domani. Più volte, in questi mesi, sono stati gli interventi di commemorazione dei precedenti inquilini del Colle le occasioni per le riflessioni più vibranti. In parecchi ricordano quando a Dogliani, in pieno travaglio da formazione di governo, Mattarella, ricordando Einaudi, scandì che il “presidente non è un notaio”. E dunque non si sarebbe limitato a ricevere una lista dei ministri, rinunciando ad avvalersi delle sue prerogative. Fu la chiave per comprendere come avrebbe gestito il “caso Savona”. Oppure quando, parlando di Oscar Luigi Scalfaro, ricordò che “nessuno è al di sopra della legge”, nemmeno i politici. Erano i giorni della polemica sulla nave Diciotti e sull’indagine aperta sul ministro dell’Interno Matteo Salvini che, in quell’occasione, lanciò strali contro la magistratura.
Adesso un appello al dialogo con quell’Ue le cui “raccomandazioni” a giugno furono silenziosamente accettate e a ottobre. E l’incontro con il commissario Moscovici, che prima vedrà il ministro dell’Economia, per valutare se ci sono margini per ridurre le distanze. Raramente si ricorda un commissario europeo salire al Quirinale durante la discussione della manovra. Una irritualità che dà il senso della delicatezza del momento. E non è un caso che Mario Draghi ha pronunciato parole prudenti e positive nei giorni scorsi o che Mattarella, nei suoi inviti al dialogo, stia molto attento a non suscitare allarmismi: se dovesse divampare il falò, difficilmente brucerebbe solo l’Italia. Anche chi in Europa pensa che lo spread possa essere lo strumento per chiudere la partita col governo gialloverde rischia di rimanere scottato.
L’HUFFPOST