Lo spread preoccupa le banche. Spaccatura sulla valutazione della manovra. Tria non riesce a rassicurare

“Caro ministro, se lo spread aumenta ancora c’è il rischio di dare meno credito a imprese e famiglie e anche di dovere fare qualche aumento di capitale”. Metà mattina, Milano. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria siede al tavolo del comitato esecutivo dell’Abi e raccoglie con questi toni la preoccupazione di una banca di peso. È lo spread – viene riferito da alcuni partecipanti all’incontro a Huffpost – la grande paura che tiene unito il fronte dei banchieri perché i livelli odierni, sopra i 300 punti, o addirittura più alti avrebbero un impatto devastante sui clienti, cittadini o imprese che siano, in termini di mutui e investimenti. Sul tavolo Tria porta la manovra, con 3,3 miliardi di sacrifici pretesi proprio dalle banche, e qui la valutazione sfuma, perde il carattere dell’unità: ci sono gli ottimisti, quelli che cioè pensano che l’impatto non sarà devastante e chi, invece, non nasconde l’arrivo di nuove difficoltà. I toni delle dichiarazioni ufficiali di tutti sono prudenti e lo sono perché con uno spread così alto tutto si deve e può fare tranne che alzare ulteriormente la temperatura attraverso uno scontro frontale con il governo.

È la prima volta che il titolare del Tesoro incontra le banche dopo la lunga e complessa fase di gestazione del bilancio. Lo fa in un clima di preoccupazione e di tensione perché le burrasche sui titoli di Stato vengono osservate in modo speciale dagli istituti, che nella loro pancia detengono miliardi di Btp. La cornice della manovra – spiegano alcuni manager al ministro – preoccupa perché il deficit al 2,4% e più in generale una versione così massimalista dei conti rischia di tenere l’Italia dentro un lungo conflitto con Bruxelles, tutto dentro un clima di grande nervosismo da parte dei mercati.

Tria prova a rassicurare, ribadendo la linea esposta in Parlamento, e cioè che la manovra ora va spiegata e che proprio attraverso la spiegazione arriverà l’accettazione e la legittimazione della linea politica scelta. Riparla della necessità di spingere sugli investimenti per generare una crescita forte. Ricerca della fiducia che alla fine – è il ragionamento – porterà lo spread a livelli meno preoccupanti rispetto a quelli di oggi. Le preoccupazioni delle banche, però, restano. Su questo punto, viene spiegato da alcune fonti bancarie, lo scetticismo è ancora alto. Non è però una questione personale perché nella bagarre intergovernativa che pone Tria in una posizione di grande fragilità, con i continui attacchi, diretti e indiretti, dei 5 Stelle, il ministro dell’Economia resta comunque il punto di riferimento per le banche. “È l’unico che può provare a convincere l’Europa e i mercati che questa manovra può andare bene”, sintetizza un banchiere.

Quello che è mancato al tavolo, e che i banchieri si aspettavano, è un dettaglio maggiore dei sacrifici chiesti con la legge di bilancio. Da qui deriva quell’atteggiamento attendista, in vista della presentazione del testo della manovra, che più di un banchiere esterna al termine della riunione. “Per dare un giudizio bisogna aspettare le tabelle, per capire come queste incidono. I documenti vanno consegnati entro il 20 ottobre, quindi le tabelle dovranno uscire per quella data”, dice il presidente di Bnl Luigi Abete. Nell’attesa, però, le posizioni iniziano a delinearsi. E non sono posizioni unitarie. C’è il fronte di chi ridimensiona perché ritiene che il peso della tassazione richiesta dall’esecutivo sia sopportabile. Come Intesa Sanpaolo. Dice il suo presidente Gian Maria Gros-Pietro: “Non è una stangata”. “Riunione interessante, adesso studiamo”, sfuma il consigliere delegato di Ubi Victor Massiah. In mezzo a queste reazioni ci sono quelle, celate, delle banche meno solide. Per loro sì che i sacrifici della manovra potrebbe avere un peso se non insopportabile quantomeno molto duro. In attesa di conoscere i dettagli, una tendenza nei sacrifici già si è appresa: il governo punta a recuperare risorse dalle banche attraverso una stretta fiscale che passa per una deduzione dell’imponibile più lunga. In pratica gli istituti dovranno diluire in più anni i benefici che derivano dalle agevolazioni. Questo scenario comporta il fatto che le perdite possono essere recuperate fiscalmente con maggiore difficoltà perché l’impatto positivo delle agevolazioni viene diluito in un arco temporale più lungo rispetto a quello previsto (annuale) e sul quale si erano orientate le scelte recenti delle banche.

Oltre alle banche arriva anche la reazione di un altro mondo che pagherà il conto della manovra, cioè le imprese. Confindustria sbotta e lo fa in modo netto, bocciando la manovra e puntando il dito contro il tradimento della flat tax, che nella legge di bilancio è stata ridotta a briciole, con appena 578 milioni di euro destinate alle partite Iva, tra l’altro con un giro d’affari compreso solo tra 0 e 65mila euro. “La flat tax – dichiara il presidente dei giovani imprenditori Alessio Rossi – è stata raccontata in un modo e ora viene proposta in un altro, da quello che leggiamo è una misura per le partite Iva e per i professionisti, ma non per le imprese. Probabilmente trasformerà i rapporti di lavoro a tempo determinato in collaborazioni con partita Iva e soprattutto non genera occupazione e non aiuta le imprese”. Dure critiche anche al reddito di cittadinanza, ritenuta una forma di “assistenzialismo”, e più in generale a un impianto della manovra definito “un ritorno al passato” dove “non ci sono investimenti” e senza attenzione “ai giovani e al Sud”.

L’HUFFPOST

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