Pressing dell’ala moderata del governo: “Controlli ogni tre mesi sui conti”

roberto giovannini, ilario lombardo
roma

In questo momento una fazione del governo prega che l’altra si convinca almeno a fare una concessione all’Europa. Inserire un controllo trimestrale dei conti direttamente in manovra. La vorrebbero il premier Giuseppe Conte, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti e il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Per un momento è circolata anche l’ipotesi, poi smentita, di inserirla nella lettera che oggi il governo italiano invierà a Bruxelles in risposta alla missiva – di fatto, una bocciatura – del commissario all’economia Pierre Moscovici.

Verrà spedita pochi minuti prima della deadline, fissata a mezzogiorno, in modo da misurare le prime reazioni dei mercati. A Bruxelles, che tra l’altro contesta come troppo ottimistiche le previsioni del governo sulla crescita economica, la parte «dialogante»dell’esecutivo era pronta a concedere almeno questa sorta di clausola di salvaguardia. Se cioè dai controlli trimestrali sull’andamento dell’economia si evincesse un rallentamento della crescita tale da mettere a repentaglio l’obiettivo 2019 di un rapporto deficit/Pil del 2,4%, scatterebbe immediatamente una tagliola che come conseguenza potrebbe anche bloccare l’applicazione di alcune delle misure più costose della manovra.

 

Chiariamoci: si tratta di una proposta sostenuta dall’ala più moderata del governo gialloverde, come Tria e Moavero Milanesi. Sono loro due gli alfieri della proposta di modificare la manovra, dopo la drastica (ma prevedibile) bocciatura da parte della Commissione europea, riducendo il deficit programmato per il 2019 dal 2,4 al 2,1% del Pil. Una linea che è stata sconfitta nel Consiglio dei ministri di sabato che ha sanzionato la pace sul condono fiscale: sia Luigi Di Maio che Matteo Salvini si sono opposti e hanno prevalso. Conte ha però ha ottenuto dai due vicepremier di abbassare i toni ed essere più aperti al dialogo. Il leghista lo ha preso in parola e sta cercando di inserire in agenda un incontro con Moscovici e persino con il suo arcinemico, il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker. Nella lettera, poi, assicurano fonti di governo, i toni saranno più docili e sarà presente l’assicurazione che l’Italia non vuole uscire dall’euro.

 

Certo è che la necessità di intavolare una qualche trattativa con Bruxelles è più che mai impellente: da martedì ci saranno tre settimane a disposizione per cercare di appianare le cose con l’Ue, ed evitare una procedura di infrazione che potrebbe avere gravi conseguenze. L’intera manovra si regge su un architrave precario: un tasso di crescita dell’1,6 nel 2019. Se il Pil italiano non sarà questo, il deficit non potrà essere il 2,4% del Pil, ma il 2,9, o anche il 3,2%. L’ala “moderata” del governo ha così proposto di rilanciare l’idea illustrata nei giorni scorsi da un “falco” come Paolo Savona. Il ministro degli Affari europei ha proposto di prevedere dei «controlli trimestrali» sull’andamento dell’economia, addirittura spingendosi fino a definire «sperimentali» (e perciò provvisorie) misure come il reddito di cittadinanza. E dunque, ad esempio, se la crescita deludesse le aspettative, o se lo spread andasse fuori controllo, il reddito e la flat tax potrebbero essere rinviate? Di Maio non vuole neanche sentirne parlare e dal palco della festa grillina annuncia la nuova campagna per le Europee.

 

Il M5S sarà alla testa di un nuovo gruppo ancora tutto da costruire. Ci sono state porte chiuse in faccia (i Verdi)e qualche intesa di massima. Accordi già stretti con sei partiti non presenti all’Europarlamento. Si Parla del Partito pirata islandese e dei finlandesi di Muutos. «Saremo l’ago della bilancia, come in Italia» giura Di Maio. Con un obiettivo: cambiare gli equilibri della Commissione per cambiare le regole europee che stanno troppo strette all’Italia.

LA STAMPA

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