Ma l’Italia è ancora con l’Ue

Se prendiamo sul serio quanto ci dicono i sondaggi dobbiamo riconoscere l’esistenza di un apparente paradosso e di un enigma. Da un lato, c’è ancora una maggioranza di italiani (circa il sessanta per cento) che è favorevole alle istituzioni europee e vuole che l’Italia resti nell’Unione. Dall’altro lato, contemporaneamente, c’è una maggioranza di italiani (ancora una volta, circa il sessanta per cento) che è favorevole al governo più ferocemente antieuropeo della storia della Repubblica. Si tratta di due maggioranze solo parzialmente sovrapposte (verosimilmente). Esse potrebbero continuare a coesistere per lungo tempo senza entrare in rotta di collisione (come due rette che non si incontrano mai) ma esiste anche la possibilità di uno scontro frontale, forse anche a breve scadenza. Con annessi corti circuiti e terremoti politici. Tutto dipende dalla qualità e dalla intensità di quel consenso maggioritario alle istituzioni europee nonché dalla qualità e dalla intensità di quell’altro(attuale) consenso maggioritario al governo antieuropeo. Per decenni e decenni (con la sola parziale eccezione dei britannici) gli europei coinvolti nei processo di integrazione erano a larga maggioranza favorevoli alla Comunità europea(poi Unione). Si capisce perché. Si trattava di una storia di successo , dava grandi vantaggi economici a tutti. L’Europa era, per gli europei, un bancomat utilizzabile da chiunque a volontà e senza problemi.

Per giunta, era un’epoca in cui l’Europa non era ancora un fatto «politico», ossia non suscitava divisioni e conflitti. In quel tempo di generale consenso all’Europa l’Italia spiccava per essere , insieme al Belgio, il Paese più europeista di tutti (secondo i sondaggi), quello che esibiva regolarmente maggioranze «bulgare» filo -europee. Per varie ragioni, come sappiamo. Contò il fatto che le élites a cui toccò in sorte di ricostruire un Paese uscito sconfitto dalla guerra riconobbero nell’integrazione europea la strada maestra per assicurare la rinascita nazionale. Ma , certamente, i sentimenti pro-Europa degli italiani erano anche incoraggiati dal fatto che essi (al pari dei belgi) fossero insoddisfatti del funzionamento delle istituzioni nazionali. Ciò contribuiva a spiegare , ad esempio, perché gli italiani risultassero più europeisti dei francesi (nonostante il ruolo di leadership che la Francia, insieme alla Germania, aveva in Europa).

Quella maggioranza bulgara di un tempo , naturalmente, non c’è più. Ma ciò non è strano . Negli ultimi decenni (non solo qui da noi ma in tutti i Paesi dell’Unione) l’Europa è diventata un fatto politico, oggetto di dispute e di conflitti. La percentuale degli avversari dell’Europa — un tempo quasi inesistente — è oggi assai rilevante. E’ tuttavia notevole il fatto che, nonostante ciò, resista in Italia una forte maggioranza favorevole all’Unione.

Di che natura è questa maggioranza? Si può pensare che essa sia solo un residuo, in via di superamento, del passato: una maggioranza tiepida destinata a squagliarsi rapidamente se il conflitto fra il governo italiano e le istituzioni europee dovesse superare il punto di rottura. In questa interpretazione, basterebbe poco per trasformarla in una minoranza.

Ma c’è anche un’altra possibile interpretazione. Si può pensare che quella maggioranza pro-Unione sia il frutto della diffusa consapevolezza del fatto che l’Italia abbia tratto dalla sua partecipazione all’integrazione europea grandi benefici , che i vantaggi siano stati e siano maggiori degli svantaggi. Questa interpretazione non è campata in aria. Le maggioranze sono , per definizione, conservatrici, aborrono i salti nel buio. I più pensano: siamo stati bene nell’Unione, cambiare è troppo pericoloso. Poiché il budino si apprezza solo mangiandolo, forse avremo molto presto la prova di quale sia l’interpretazione corretta. Se hanno ragione quelli che pensano che la maggioranza pro- Europa sia solo un residuo del passato, tiepida e fragile, allora lo showdown in atto fra il governo gialloverde e l’Unione, se si aggraverà, si risolverà comunque, facilmente, a favore del governo: basterà accusare (come già i gialloverdi stanno facendo) le istituzione europee di ogni nefandezza . D’altra parte, che altro sarebbe la lievitazione dello spread, secondo certe fini teste pensanti del governo e dintorni, se non l’effetto di una congiura di banchieri e eurocrati fra loro alleati? Se l’attuale maggioranza pro- Europa è davvero così fragile, il governo continuerà a godere di larghi consensi ( forse , addirittura, quei consensi aumenteranno) perché potrà scaricare sull’Unione la responsabilità dei futuri, annunciati, disastri economici.

Se invece è corretta la seconda interpretazione, se l’orientamento pro- Europa dei più è solido e sufficientemente motivato , allora il braccio di ferro in atto fra governo e Unione se si aggravasse, se non si risolvesse in un qualche compromesso, potrebbe innescare un corto circuito , le due contraddittorie maggioranze (rispettivamente, pro- Europa e pro- governo) potrebbero scontrarsi . Forse, in quel caso, a uscirne male sarebbe proprio il governo. I gialloverdi potrebbero essere traditi da un eccesso di sicurezza , dall’idea di essere invulnerabili. I sondaggi non sono forse ancora tutti dalla loro parte? Il problema dei movimenti politici ideologicamente e programmaticamente anti- pluralisti è che o riescono a sopprimere il pluralismo (dando vita a un regime autoritario) oppure, prima o poi, il pluralismo si vendica, li sconfigge. Dalle stalle alle stelle e ritorno: i passaggi, talvolta, sono molto rapidi.

CORRIERE.IT

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