Patrimoniale o tagli. Il sentiero stretto del governo gialloverde
Il governo smentisce passi indietro sulle pensioni. Per il vicepremier Luigi Di Maio quota 100 e lo smantellamento della legge Fornero sarà «strutturale».
Non una tantum, come si ipotizza da tempo, come aveva ammesso giorni fa il ministro dell’Economia e come risulta tutt’ora all’agenzia di rating Moody’s.
Il fatto è che l’esecutivo non è diviso solo sulle ricette da adottare nella prossima Legge di Bilancio. Anche la exit strategy qualora le cose si mettessero male, è materia di discussione. Non è un mistero che al dicastero dell’Economia si metta in conto (e in alcuni caso si dia per scontata) la necessità di correzioni in corsa. Quindi manovre correttive durante il 2019 non per rientrare in limiti del deficit graditi alla commissione europea, ma per parare eventuali scostamenti dall’obiettivo dal 2,4 per cento indicato dal governo. Nella lettera che Tria ha inviato alla Commissione la settimana scorsa, quella respinta dall’esecutivo europeo, si fa esplicito riferimento a meccanismi di correzione.
Ipotesi che i due leader della maggioranza, di Maio e Matteo Salvini, non vogliono nemmeno prendere in considerazione. Respinte al mittente, per ora, anche l’ipotesi di una entrata in vigore differita per le misure più costose della legge di Bilancio. Riforma delle pensioni con finestre spostate alla fine dell’anno per limitare la platea degli interessati. E poi reddito di cittadinanza affidato a un provvedimento ad hoc diverso dalla legge di Bilancio. Magari un disegno di legge con tempi non rapidi.
La linea dura del governo nei confronti dell’Europa prevede per il momento solo qualche scaramuccia preventiva. Ad esempio è tornata a circolare la voce di un possibile veto dell’Italia al prossimo bilancio europeo. Iniziativa del ministro degli Affari europei Paolo Savona, secondo una indiscrezione riportata ieri dal sito Start magazine. Questa volta non per fare pressione affinché sull’immigrazione ciascuno faccia la propria parte, ma per fare capire alla Commissione e al Consiglio europeo che a una linea dura di Bruxelles corrisponderà una posizione altrettanto poco collaborativa dell’Italia su tutti i tavoli.
Prospettiva che piace poco alla parte dialogante del governo. Tanto che ieri il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi è corso ai ripari con un comunicato dove ha dato conto di una riunione del Comitato Interministeriale per gli Affari Europei per «garantire la posizione italiana, attraverso una linea coerente e un’azione corrispondente agli interessi italiani ed europei».
Per il resto la strategia del governo è di resistere e affrontare i problemi quando si presentano. I tempi della procedura di infrazione sono lenti.
Preoccupa, invece, lo stato delle banche. E su questo il governo la pensa allo stesso modo. Ieri, dopo il ministro Tria, Salvini ha confermato interventi. «Se qualcuno ha bisogno, noi ci siamo, senza fare gli interventi del passato». L’ipotesi è quella anticipata dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti, una ricapitalizzazione degli istituti in crisi. Interventi necessari se lo spread dovesse superare i 400 punti.
Giorgetti è tra gli esponenti della Lega quello che più prudente, convinto che la parte più importante della Legge di Bilancio sia la verifica periodica dei conti. Se l’Italia dovesse piombare in una crisi come quella del 2011 saranno inevitabili interventi su pensioni e reddito di cittadinanza. Altrimenti non rimarrà che aumentare le tasse. Non è un caso che il ministro dell’Economia mercoledì abbia bocciato l’idea di una patrimoniale, bollandola come «distruttiva». Nella maggioranza c’è chi fa il tifo per un’altra stretta sulla ricchezza, a partire dai beni immobiliari.
IL GIORNALE