Di Maio ora vuole comprare l’arbitro

Luigi Di Maio continua a difendere la manovra del governo. Dice che per la prima volta «toglieremo a banche e assicurazioni per dare ai cittadini» pur sapendo che banche e assicurazioni, per non fallire, si rifaranno immediatamente sui cittadini aumentando i costi di servizi e polizze.

Dice ancora Di Maio, facendo riferimento alle parole allarmanti pronunciate giovedì dal governatore della Banca centrale europea sul fatto che la manovra potrebbe creare danni a famiglie, imprese e banche, che «Mario Draghi avvelena i pozzi» e che «un italiano come lui dovrebbe tifare Italia».

Sono accuse gravi e, spalleggiate con violenza verbale dai leghisti Borghi e Bagnai, in contraddizione tra loro. Secondo la prima («avvelenare i pozzi»), Draghi sarebbe un disonesto; con la seconda («dovrebbe tifare Italia») gli si imputa di non essere disonesto, cioè di tenere fede al giuramento di neutralità fatto il giorno che prese la guida della Bce, istituto che è patrimonio di tutta l’Europa e non di un singolo Stato.

Con la sua dichiarazione dal senno sfuggita, Di Maio ieri ci ha confessato che, per vincere la partita in cui sta soccombendo, spera di comprare l’arbitro. Vorrebbe che Draghi, in quanto «italiano», si girasse dall’altra parte mentre lui segna il gol in netto fuorigioco. Prova che Montanelli aveva ragione quando scriveva che «in Italia i regimi politici passano, ma i furbi e gli asini restano».

Tutti noi tifiamo Italia, e per questo siamo sugli spalti e non in campo. Al tifoso non importa se la partita è truccata, vuole solo vincere. E ci sta. Ma il giocatore deve rispettare le regole e l’arbitro vigilare che ciò accada. Di Maio va in campo come farebbe un ultrà, simulando falli in area e urlando «arbitro cornuto e avvelenatore di pozzi». Il problema è che qui non siamo a San Siro e in palio non ci sono tre punti, ma la tenuta economica di un Paese.

Immagino che Draghi questo volesse ricordare a tutti non solo all’Italia con quella dichiarazione che appare come l’ultimo, accorato appello di uno scienziato dei numeri a fermarsi prima che sia troppo tardi. Perché a non tornare sono i conti, non le politiche più o meno condivisibili di uno Stato sovrano che non mi risulta lo interessino. Tanto che, se ci fosse la Var in campo – per rimanere in metafora calcistica , potremmo verificare come, durante il suo governatorato, l’arbitro Draghi con l’Italia sia stato sì imparziale, ma diciamo benevolo nei suoi giudizi.

IL GIORNALE

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