La rabbia dei No Tap contro i Cinque Stelle. Conte: “Se ci sono colpe, attribuitele a me”
«Con il governo del Movimento 5 stelle quest’opera la blocchiamo in due settimane!». Quelle parole i No Tap non le hanno dimenticate, non c’è spiegazione che tenga, non esiste nessuna «penale» abbastanza alta che possa convincerli. Era il 2 aprile del 2017 quando Alessandro Di Battista, insieme a Barbara Lezzi, faceva esplodere di gioia la folla di San Foca di Melendugno, provincia di Lecce, promettendo lo stop del Tap. Solo un anno e mezzo fa, proprio nello stesso posto dove ieri i manifestanti hanno bruciato le bandiere M5s e le foto della Lezzi, che nel frattempo è diventata ministro per il Sud nel governo Lega-5 stelle.
Il via libera dell’esecutivo al gasdotto i movimenti non lo accettano, vanno in piazza e si scatenano. Urlano alla Lezzi di andare «via dal Salento». Bruciano anche le tessere elettorali e le foto con i leader M5s, a cominciare proprio da Lezzi e Di Maio. Sui muri compaiono manifesti che danno dei «traditori» ai parlamentari 5 stelle, chiedendone le dimissioni: «Siete peggio dei vostri predecessori». Richiesta di dimissioni rilanciata da Gianluca Maggiore, il portavoce dei No Tap.
Il sindaco di Melendugno spiega che non vuole sentir parlare di penali e arriva a paragonare i Cinque stelle a Renzi, l’insulto peggiore per il Movimento. È il bis delle contestazioni di Taranto, dopo l’accordo sull’Ilva, che pure doveva essere chiusa. Ma stavolta la reazione è ancora più violenta.
Si scatena anche Michele Emiliano, il governatore della Puglia Pd che in passato ha spesso strizzato l’occhio ai Cinque stelle. «La delusione che provo per il voltafaccia del M5S su Ilva-Tap è davvero devastante», scrive su twitter. «Bugiardi e spregiudicati. M5s un disastro come Calenda e Renzi».
La Lezzi prova a reagire con un video su Facebook, spiega che «M5s non ha dato nessuna autorizzazione al Tap», semplicemente «ci ritroviamo nella condizione di non poter fermare una procedura già chiusa dal governo precedente». La ministra ricorda che già «durante la campagna elettorale (lo scorso febbraio, ndr) dissi che sarebbe stato difficile fermare il Tap». Replica a Emiliano «che dice di sentirsi tradito. Tradito da chi? Dal suo partito che ha voluto lì quell’approdo (per il gasdotto, ndr)». Ribatte al sindaco di Melendugno che «con maniere da teppistello mi intima di non tornare lì. Lui non può dirmi dove andare, a casa mia ci torno quando voglio».
La ministra ribatte anche al portavoce No Tap: «Non hanno mai calcato i nostri palchi, né condiviso la battaglia con noi, sono gli ultimi a poter chiedere le mie dimissioni».
È crisi vera, tanto che a fine giornata interviene anche il premier Giuseppe Conte in difesa della Lezzi. In partenza per l’India, il Presidente del consiglio scrive una lettera aperta ai cittadini di Melendugno. Parla di «reazioni che mi sembrano a dir poco ingenerose» nei confronti dei parlamentari M5s e aggiunge: «Sono stato personalmente testimone dell’appassionato e infaticabile impegno che hanno profuso, in tutti questi mesi, al fine di mantenere la parola assunta con i propri elettori. Se “colpa” deve essere, attribuitela a me». Le penali, aggiunge, ci sono, «chi sostiene che lo Stato italiano non sopporterebbe alcun costo o costi modesti non dimostra di possedere le più elementari cognizioni giuridiche». Fermare tutto, chiarisce, costerebbe «tra i 20 e i 35 miliardi di euro», una spesa «disastrosa, non sostenibile per le casse dello Stato». Si fa sentire anche Matteo Salvini: «Il fuoco e le minacce non sono mai la soluzione. Quell’opera è fondamentale». Ma il problema è tutto dei Cinque stelle, sono loro in affanno. E Salvini lo sa.
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