Salvini elogia Draghi e pressa Di Maio: “Tuteleremo le banche”
L’apparenza dice che non hanno parlato di Rai, come fa sapere Matteo Salvini. Ma a sentire il M5S e chi si è messo in contatto con Luigi Di Maio, di Rai si è parlato eccome durante il vertice a due a Palazzo Chigi. Ed è stato l’argomento che più ha diviso i leader, costretti ad apparire coesi per consegnare ai mercati un’immagine di compattezza che si sfalda quando si entra nella carne viva di diversi temi. In mattinata Salvini era atteso su Sky. Intervista annullata all’ultimo, in vista dell’incontro con Di Maio, per evitare di sbilanciarsi sulle questioni aperte.
In oltre due ore di faccia a faccia, il leghista e il grillino mettono a punto la strategia settimanale su manovra e banche, anche per provare a tenere da parte le tante differenze che si stanno accumulando. In questi giorni i grillini hanno compulsato con ansia un report di Goldman Sachs datato 12 ottobre in cui si definisce «improbabile» la sopravvivenza di questo governo alla metà del 2019 – quindi subito dopo le Europee – e dove si profetizza la rinascita della maggioranza di centrodestra. Uno scenario che inquieta Di Maio, non a caso più bellicoso di Salvini.
Di fatto, i due leader hanno capito di dover abbassare i toni e hanno cercato di sanare le divergenze. Il grillino vuole garanzie di non trovarsi altre sorprese sul condono, dopo la sanatoria dei capitali all’estero rispuntata nel decreto fiscale. Salvini chiede a Di Maio certezze sul decreto sicurezza che il capo politico del M5S non può dare del tutto. E infatti è infuriato, pronto a mettere alla porta i ribelli grillini che al Senato si oppongono alla sua richiesta di ritirare gli emendamenti al dl Salvini.
Ma è sulle banche e sulla legge di Bilancio che i due vicepremier provano a rimarginare le ferite. Ed è il leghista a chiedere più cautela su Bce e istituti di credito. «Draghi ha fatto tanto per l’Italia» ripete in serata, e dopo gli attacchi scomposti di Di Maio anche il M5S chiede al pontiere Stefano Buffagni di spendere parole su Facebook che sono carezze per il presidente della Bce.
Lo spread fa paura. E nel governo si sono convinti che se gli investitori mollano l’Italia le banche vanno a strapiombo. E «le banche non sono solo i banchieri» ha ribadito Salvini a Di Maio che pure su questo agli occhi dei leghisti è stato sgrammaticato quando ha detto che non darà un euro per salvarle: «La banche sono risparmiatori e imprenditori» e , promette, «le tuteleremo». La stessa rassicurazione che aveva dato qualche ora prima il viceministro Massimo Garavaglia, incaricato di sostituire all’ultimo Salvini su Sky: «Se si interverrà, lo faremo in fretta». Garavaglia non dice come, ma si dà per scontato che parta in automatico il meccanismo di salvataggio già previsto. Quel fondo salva-banche criticato dal M5S quando era opposizione.
Ma è Viale Mazzini a tenere alta la tensione durante il confronto tra i due vicepremier. Il nodo della lottizzazione della tv pubblica, a due giorni dal Cda sulle nomine, resta Raiuno, sia per la direzione di rete sia per il tiggì. È un risiko a incastro, spiega una fonte del M5S, dove un pezzo muove tutti gli altri. L’ad Fabrizio Salini è in comunicazione continua con i leader e sta cercando di imporre una linea: usare il più possibile personale interno. Così è stato quando si è detto scettico sulla nomina di Andrea Bonini, volto Sky, per il Tg1, proposto dai 5 Stelle: «Preferirei qualcuno già in Rai». E ora è sempre Salini a confessare di essere perplesso sul nome indicato dalla Lega per la direzione di Raiuno: un profilo di un’altra azienda, che piace a Foa ma «con troppe criticità per il M5S». Da quello che filtra, si tratterebbe di un uomo Mediaset, troppo vicino alla galassia imprenditoriale e politica di Silvio Berlusconi.
Ma senza un direttore di rete gradito, Salvini non vuole lasciare ai grillini il principale telegiornale. I 5 Stelle vogliono Giuseppina Paterniti, il leghista è tornato a insistere su Gennaro Sangiuliano (dato in pole per il Tg2) e in alternativa propone di spostare Luca Mazzà, dal Tg3 al Tg1. «Uno del Pd, renziano, amico di Salvini? No grazie», è stata la risposta. Lo stallo tiene in bilico altri nomi. Se dovesse sfumare il Tg1, Paterniti potrebbe finire al Tg3 facendo saltare Mazzà. Mentre per Federica Sciarelli non ci sarebbe mai stato all’orizzonte il Tg della prima rete bensì la possibile direzione di Raitre.
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