Locali etnici tra droga e degrado. I residenti: “Salvini ha ragione, vanno chiusi”

“Non c’entra nulla il razzismo. Andate a vedere cosa fanno vicino ai locali etnici. Tornate qui la sera, soprattutto la domenica. E capirete perché Salvini ha ragione”. Non tutti acconsentono a mostrarsi in volto.

Vivere un quartiere “di periferia” non è certo semplice. Prima viene l’incolumità. Poi tutto il resto. Fontivegge non dista molto dal centro di Perugia e non è “periferia” se lo si osserva solo con occhio urbanistico. Lo è però nell’anima, nella condizione sociale. Nei problemi che deve affrontare ogni giorno.

Uno di questi è quello dei locali etnici. Nel quartiere e in quelli limitrofi ne sono sorti molti. Quando chi scrive era ragazzo gli veniva consigliato di cambiare strada e evitare di passare troppo vicino a un negozietto africano sporco e malmesso. Dicerie popolari l’avevano identificato come base per lo spaccio di droga. Fantasie? Forse. Ma la cronaca non mente e neppure l’occhio vigile di chi ancora oggi vive Fontivegge. “Con l’arrivo degli extracomunitari in questa zona – spiega Giulietto Albioni, residente – sono nati african market, afro pub e altri locali. Che poi non fanno altro che essere chiusi e riaperti, chiusi e riaperti”. Il motivo? “Dietro c’è sempre il traffico di stupefacenti”.

Che di droga attorno alla stazione ne circoli molta non è certo una novità. Ieri ilGiornale.it vi ha raccontato con dovizia di particolari gli effetti della “guerra tra bande di immigrati” che si litigano il mercato di cocaina ed eroina. “Questo è uno dei viali che porta alla stazione – racconta Domenico Manzo – dove oltre ad esserci i negozi etnici, si svolge anche una grossa attività di spaccio”.

I due fattori sono collegati? Chi vive la strada sostiene di sì. “Per quel che ci risulta – conferma Filippo Girella, poliziotto e sindacalista del Fsp-polizia – questi empori rappresentano un elemento catalizzatore di determinati personaggi che sicuramente tutto fanno meno che vivere onestamente”. Questo non significa che chi apre o gestisce un locale rumeno, africano o bengalese nasconda necessariamente nel retrobottega un laboratorio per confezionare ovuli di eroina. “Ma è innegabile – continua una fonte anonima – che è proprio lì attorno che si vengano a creare i maggiori problemi”.

L’equazione è semplice. Il traffico di droga porta insicurezza, il mercato degli affitti scende, il quartiere si riempie di stranieri e il circolo vizioso si ripete. Chi resiste si trova inondato di negozi etnici perché la legge del mercato parla chiaro: dove ci sono clienti arrivano le attività. Poi però qualcosa può sfuggire di mano. E il degrado imperversa. “Ne nascono in continuazione – continua la fonte – E diventano il ritrovo di persone poco raccomandabili. Sarebbe anche bello capire in che modo li gestiscono. In uno di questi c’è un’unica porta di emergenza chiusa col lucchetto da fuori. E una volta ho trovato la titolare dormirci dentro distesa su un materasso”.

Ecco perché sono molti i residenti e i commercianti d’accordo con la proposta di Matteo Salvini di costringere i negozi etnici alla chiusura alle ore 21. “È una misura giusta – fa eco Marco Squarta, consigliere regionale di FdI – non parliamo di favole, ma di fatti concreti. Accoltellamenti, risse, bottigliate”.

A Fontivegge esiste un caso che potrebbe fare scuola. Fino a poche settimane fa, sotto i portici del palazzo della Regione, sorgeva un “AfroPub”, frequentato (soprattutto la domenica sera) da stranieri di varia provenienza. “La notte era impossibile dormire”, racconta Silvio Meli, che abita in un palazzo a due passi dal locale. “Confusione, gente che si picchiava, bottigliate. Davano da bere oltre l’orario consentito. Vivere qui era diventato difficilissimo”. Una scala senza via d’uscita di fronte all’ingresso del pub mostra ancora i segni della decadenza: vetri rotti, un odore insopportabile di urina, chiazze di vomito. E decine di siringhe.

Come spesso accade il locale era diventato centro di gravità per spacciatori e consumatori. Non lo affermiamo per sentito dire, ma per averlo provato a inizio ottobre. Ci avviciniamo all’ingresso, aspettiamo meno di tre minuti e subito veniamo avvicinati da un ragazzo straniero appena uscito dal pub. Ci offre una dose, contrattiamo e poco dopo avviene lo scambio. Sono appena passate le 21.

Non è un caso se pochi giorni dopo la nostra inchiesta il sindaco di Perugia, Andrea Romizi (Fi), su proposta del prefetto ha revocato la licenza all’AfroPub. Uno dei titolari, in fondo, era stato arrestato poche settimane prima con l’accusa di sfruttamento della prostituzione. La banda, secondo quanto emerso dalle indagini, teneva schiave con riti voodo diverse ragazze nigeriane appena arrivate nel Belpaese. “Speriamo non si fermino mai gli sbarchi”, si sente dire nelle intercettazioni telefoniche. Un business redditizio in cui l’AfroPub e il suo (ex) titolare svolgevano una funzione cruciale: secondo le accuse l’attività veniva utilizzata me copertura per contratti di lavoro fittizi in grado di far ottenere alle ragazze-schiave regolari permessi di soggiorno. “Ora capite perché Salvini ha ragione?”.

IL GIORNALE

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