Per gli elettori del Pd il reddito di cittadinanza è peggio del condono fiscale

di Lorenzo Pregliasco – YouTrend

Secondo un recente sondaggio Ipsos, l’85% degli elettori di Pd e centrosinistra giudica negativamente il reddito di cittadinanza introdotto dalla prima manovra economica del governo legastellato.

È un segnale politicamente interessante, anche perché la misura raccoglie più ostilità nel centrosinistra rispetto alla manovra in generale (che vede contrario il 75%) e a un’altra misura molto contestata, il condono fiscale (80%).

Prima spiegazione: la polarizzazione politica, cioè il fisiologico collocarsi “contro” le misure approvate da una parte politica contrapposta, che sicuramente gioca un ruolo di primo piano in questa vicenda. Il reddito di cittadinanza è stata una bandiera del Movimento 5 Stelle in campagna elettorale e nella partita sulla manovra finanziaria ed è dunque ragionevole che molti elettori del Pd la considerino una misura a cui opporsi. Seconda spiegazione: una contrarietà, nel merito, alla policy concretamente proposta dal governo, considerata da molti esponenti del Partito democratico una misura assistenzialista, che disincentiva il lavoro.

Questa appare una motivazione certamente legittima, ma andrebbe quantomeno verificato empiricamente il livello di consapevolezza sul funzionamento della misura (ed è così chiaro, agli occhi dell’opinione pubblica, su quali aspetti la proposta M5S differisca dal Rei, il reddito di inclusione introdotto dal governo Gentiloni?). Terza spiegazione: la conferma di un progressivo slittamento del posizionamento del Partito democratico (come di altri partiti progressisti europei) sui temi economico-sociali.

Verso “destra”, se vogliamo adottare le categorie classiche del pensiero economico articolate sull’asse che va dall’intervento dello Stato (a “sinistra”) al libero mercato (a “destra”). Sono certamente categorie in parte superate, ma ancora valide come lente di interpretazione dell’offerta politica. D’altra parte, le analisi di YouTrend avevano già ravvisato 
nel voto del 4 marzo uno spostamento dell’elettorato Pd su sensibilità liberali/liberiste in economia: attraverso 14 domande su temi sociali, i votanti del Pd delle politiche risultavano avere un indice medio di “liberismo” di 2,85, contro ad esempio il 2,67 della Lega e il 2,40 del M5S.

A questo spostamento corrisponde, forse, il radicale mutamento del profilo sociale della constituency democratica misurato negli ultimi anni: sempre meno forte fra le classi popolari, nei quartieri periferici e nel Sud, e in crescita invece nei centri benestanti delle grandi città, fra i laureati 
e fra i ceti professionali.

L’ESPRESSO

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