Dissidenti e espulsioni: il ritorno al futuro dei 5 stelle
Quanta fibrillazione ci sia sul decreto sicurezza lo testimonia una presenza. È quella di Riccardo Fraccaro, ministro dei Rapporti con il Parlamento e uno degli uomini di cui più si fida Luigi Di Maio nei corridoi del Senato di buon mattino. È venuto a fiutare l’aria, a vedere se una mediazione con i dissidenti sia possibile. È il primo giorno di freddo a Roma, e l’aria gelida si insinua su per le scale e raggiunge i piani dove si muovono i 5 stelle.
Il Senato, con i suoi pavimenti scricchiolanti e i suoi arazzi, è immutabile. E la sensazione è quella di un deja vù, con il ritorno in pompa magna di termini che erano diventati desueti ormai da anni: “dissidenti”, “espulsioni”. Sotto la lente d’ingrandimento questa volta sono in quattro: Elena Fattori, Paola Nugnes, Gregorio De Falco e Matteo Mantero. Sono loro ad aver firmato gli emendamenti al decreto sicurezza che smonterebbero l’impianto normativo tanto caro a Matteo Salvini. E che con diverse sensibilità si sono detti indisponibili a votare provvedimento ed eventuale fiducia.
Mancano cinque giorni all’approdo in aula del testo. Politicamente anni luce. La situazione è ancora molto fluida, e insieme molto tesa. Di Maio aveva fissato per martedì sera un’assemblea congiunta di deputati e senatori. Una sorta di redde rationem, che i suoi in tutti i modi hanno provato a minimizzare. Un momento per pronunciare di persona il “discorso della testuggine”, il monito alla compattezza e l’avvertimento alla dissidenza sui rischi nel tirare troppo la corda.
“Luigi è determinato”, risponde chi l’ha sentito nelle ultime ore. E all’obiezione che la lettera diffusa lunedì abbia esasperato la situazione, la risposta è netta: “Sono solo quattro? Non possiamo permettercelo. Non intervenire vorrebbe dire dare la stura a chiunque non voglia votare qualcosa. E la Lega ce lo farebbe scontare pesantemente”. Non un passo indietro. Nella war room del capo politico si ragiona sul da farsi. Al momento sembrerebbe passare la linea della tolleranza in caso di non partecipazione al voto, sempre che non comprometta i numeri della maggioranza. Mentre su un voto contrario non si transigerebbe: espulsione.
I quattro non mollano. Nugnes in buvette di fronte a un caffè americano si sfoga: “”Per anni abbiamo criticato il Pd. Li vedevamo in Aula che si piegavano ai diktat di Matteo Renzi, che annullava il senso del Parlamento. E noi oggi stiamo facendo come loro”. Dice che non voterà il provvedimento, e che non prenderà parte all’assemblea. Poi succede qualcosa. Due ore dopo si ripresenta davanti alle telecamere e si attesta su una linea molto più morbida. Ritratta sul parallelo (“Non ho mai detto che siamo diventati come il Pd, ma solo che abbiamo sempre criticato Renzi e il Pd”), spiega che sulla congiunta sta valutando, sgancia un sibillino “in Aula i numeri ci saranno”, non specificando se a prescindere dal suo o meno. Le pressioni sono fortissime, le sfumature cangianti, la sostanza cambia poco.
Mantero sembra al momento attestarsi sulla linea più dura: “Non lo voto anche se c’è la fiducia”. In cortile compulsa il telefono, è laconico. Perché questa durezza e questa accelerazione da parte dei vertici? “Non lo so, chiedete a loro”. De Falco si aggira nei pressi del transatlantico, sguardo bonario e aria frettolosa. È quasi incredulo quando spiega che “”Non mi contestano per quello che ho detto o ho fatto, ma per il fatto stesso che ho parlato”. Fattori è quasi incredula per l’improvvisa svolta della leadership: “A me Luigi non ha detto niente. Anzi, quando l’ho incontrato mi ha detto di non avere nulla in contrario ai voti in dissenso, l’ho trovato molto conciliante. Non so se ora cambierà idea”,
Un loro collega osserva il via vai che si crea di fronte alla commissione Affari costituzionali, quella in cui dovrebbero arrivare gli emendamenti al testo, che viene più volte sconvocata e riconvocata per poi essere definitivamente fissata per mercoledì mattina presto. E commenta: “Lo vedi? Questo è quello che succede quando non sai dialogare e governare i gruppi parlamentari”. Assicura la sua lealtà al vertice. Spiega che il dissenso sul punto si limita ai quattro moschettieri del grillismo prima maniera. Ma evidenzia altresì che il malumore generale è più diffuso, che la distanza dalla stanza dei bottoni percepita da molti dei soldati sul campo sta logorando i rapporti e minando le fondamenta.
Nel corridoio si palesa Ignazio La Russa. Tende una mano alla Lega: “Siamo un’opposizione patriottica, se c’è dialogo non escludiamo di votare il testo”. La diplomazia del Carroccio sta intessendo la tela con Fratelli d’Italia. I numeri dovrebbero essere al di sopra della soglia d’allarme, ma è meglio tutelarsi per tempo da eventuali slavine. Andrea Marcucci, capogruppo del Pd, semina zizzania: “I dissidenti sono almeno dieci”.
A sera a Palazzo Madama si incrocia Gianluca Paragone. Solita coppola, umore molto buono. “Parliamo di dissidenti? Finalmente, adoro i dissidenti!”. Si lascia andare in una sonora risata, prova a sdrammatizzare, istrione qual è. Ma per la prima volta da dopo le elezioni la situazione interna al Movimento è incandescente. Ritorno al futuro.
L’HUFFPOST
This entry was posted on mercoledì, Ottobre 31st, 2018 at 08:03 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.