C’è un’aria strana sul governo. Staccare la spina non è tabù

«Il governo può andare avanti per cinque anni e anche di più», diceva Luigi Di Maio il 16 ottobre scorso per allontanare gli scricchiolii e le tensioni di quei giorni sulla manovra.

Da lì a poche ore sarebbe arrivato l’incidente diplomatico sul condono e sulla manina fantasma accusata di aver modificato il testo concordato in Consiglio dei ministri.

Sono passate due settimane e il governo gialloverde vive un nuovo momento di passione. Questa volta, però, non si tratta di equivoci e di limature da apporre a un testo di legge, bensì di un conflitto più profondo e strutturale su un tema strategico come le grandi opere e la Tav. Fibrillazioni che si accompagnano alla tensione interna al Movimento Cinquestelle con l’ala più movimentista – quella vicina al presidente della Camera, Roberto Fico – schierata contro alcuni contenuti del dl Sicurezza.

La novità è che questi mal di pancia per la prima volta vengono portati allo scoperto e verranno affrontati in un’assemblea congiunta convocata oggi alle 15 per discutere di Tap, decreto sicurezza e manovra. L’altro elemento è che al di là del merito nelle parole dei parlamentari grillini ricorrono sempre più spesso parole come «coerenza» e «valori», evocando il tradimento delle battaglie originarie. Sull’altro fronte la Lega cerca di non esasperare i toni e di seminare ragionevolezza. Lo fa sulla Tav con il governatore lombardo, Attilio Fontana che prima ricorda che senza l’Alta velocità si viene tagliati fuori dall’Europa che conta. Poi marca le distanze dai Cinquestelle: «Diciamo che sono molto contento della mia attuale coalizione, dove posso confrontarmi con componenti politiche che condividono la mia visione». Qualche messaggio ai colleghi di governo arriva anche dal sottosegretario, Armando Siri, che sulla Tav invita ad aspettare il verdetto dell’indagine costi benefici «altrimenti diventa una questione ideologica». Il riferimento è a Danilo Toninelli che in un’intervista concessa a Bruno Vespa, aveva assicurato che «ci metteremo d’accordo con la Francia per non fare la Tav». La Lega inoltre non mette neppure in conto un possibile indebolimento del capo politico dei Cinquestelle, interlocutore privilegiato di Matteo Salvini: «Se salta Di Maio, salta tutto», dice Siri, lanciando un monito agli alleati.

Difficile immaginare che un governo che – sondaggi alla mano – ha il vento in poppa possa andare in crisi a sei mesi dall’inizio del suo mandato, nonostante la visione complessiva e i programmi siano molto distanti. Sui territori, però, lo scontro tra Lega e Cinquestelle inizia a farsi più tagliente. Ieri in Consiglio regionale piemontese la tensione è salita alle stelle durante la discussione sulla Tav e si è arrivati agli insulti. Le distanze locali insomma si approfondiscono e la pressione dal basso si proietta sulle dirigenze nazionali. Inoltre non si può sottovalutare la tentazione della carta di riserva, la certezza quasi assoluta della Lega di poter percorrere la strada del voto potendo contare su una maggioranza alternativa e maggiormente coerente come quella di centrodestra.

Chi crede in un cambio di governo è Goldman Sachs che scommette sulla caduta dell’esecutivo Conte entro giugno sostituito da un governo capace di mettere in campo politiche meno pericolose, limitando l’aumento del deficit. Difficile, però, che la Lega possa dare il via libera a un ribaltone di questo tipo senza il rito rigenerante delle urne.

IL GIORNALE

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