La strada della limitazione del danno di Sergio Mattarella
La modalità dice già tutto. Perché Sergio Mattarella avrebbe potuto diffondere già nella giornata di ieri la lettera inviata al presidente del Consiglio, in cui si autorizza la presentazione della manovra e si invita al “confronto e dialogo” con l’Europa. E invece il testo della breve missiva è stato reso noto solo questa mattina, nella forma di una “precisazione” rispetto ad alcune “indiscrezioni” apparse sui media. La cautela del metodo, assieme a quella delle parole, contribuisce a conferire al testo, e al “titolo” che ne deriva, il carattere di un invito – in verità l’ennesimo – alla collaborazione più che di una bacchettata al governo.
Il che però non significa che va tutto bene o che, al Quirinale, sia venuta meno la preoccupazione che ha accompagnato queste settimane complesse sul fronte dei conti pubblici. Non a caso Mattarella “sollecita il governo” a un “confronto” sereno con l’Europa, proprio sulla base di tutti i fattori di criticità emersi in queste settimane, come le valutazioni dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, le “osservazioni della Commissione europea”, i vincoli che prevede la costituzione in materia di conti pubblici. Parliamoci chiaro: il capo dello Stato non poteva non autorizzare la presentazione della manovra, perché per un gesto del genere avrebbe dovuto ravvisare clamorose violazioni costituzionali. Ma, nell’autorizzare, e sempre evitando contrapposizioni frontali, ribadisce – anche in questo caso, per l’ennesima volta – il suo allarme sui possibili contraccolpi della manovra. E, come nel messaggio inviato all’Acri, sottolinea la necessità di una “legge di bilancio che difenda il risparmio degli italiani”. Già, il “risparmio”. Perché è chiaro, come dicono da settimane tutti gli analisti, che se lo spread dovesse rimanere a questi livelli le banche meno solide potrebbero andare in sofferenza. Ed è altrettanto chiaro che le tensioni con l’Europa non aiutano e non aiuteranno quando, se il governo come pare continuerà a rifiutare ogni mediazione, arriverà la procedura di infrazione da parte della Commissione europea.
La domanda, a questo punto, è pressoché inevitabile. E da settimane rimbalza nei Palazzi della politica: ma su questi presupposti, e vista la delicatezza del momento, perché Mattarella non ricorre al repertorio di moniti, reprimende e richiami allarmati e tiene un profilo assolutamente collaborativo col governo? Al netto della mitezza caratteriale, è una domanda politica. Il perché è semplice. E, per comprenderlo, andiamo alla scena finale di questa storia. Quando cioè la manovra arriverà sulla scrivania del Quirinale per la firma, alla fine del lungo percorso parlamentare. Il testo, nella sua formulazione iniziale, lo avrebbe messo di fronte a un bivio drammatico: firmare il default del paese o rifiutarsi e, a quel punto, diventare assieme all’establishment europeo il nemico del popolo perfetto per la campagna elettorale sovranista, col paese in esercizio provvisorio.
Per evitare un finale di questo tipo, che “il muro contro muro” avrebbe agevolato, al Quirinale è stata scelta un’altra strada. Una strada resa anche obbligata dalla delicatezza degli equilibri politici di un Parlamento che, per la prima volta da decenni, è un Parlamento poco sensibile ai richiami istituzionali. È stata scelta la strada della limitazione del danno, non della contrapposizione plateale. Se alla fine sarà sufficiente o meno ad evitare il peggio si vedrà. È un dato di fatto che qualcosa, e non di irrilevante, nella manovra è già cambiato, grazie al lavorio del “partito dialogante” nel governo. All’inizio la manovra prevedeva un impegno finanziario non derogabile di sedici miliardi di euro da destinare alle due misure simbolo del governo gialloverde, il reddito di cittadinanza e “quota cento”. Tutto e subito. Nell’ultima versione, quei fondi non sono più vincolati alle due misure ma possono essere utilizzati anche per altro, come la riduzione del deficit. È una mossa furba e molto all’italiana, che consente a Di Maio e Salvini di dire che si faranno ma al tempo stesso viene parzialmente disinnescata la reazione dei mercati. Sono cioè cambiati i tempi, i costi e le modalità, perché entrambe sono nei “collegati” ovvero in provvedimenti successivi alla manovra. È difficile che possa bastare a Bruxelles per evitare una procedura di infrazione che ormai appare scontata. Però è un dato di fatto che, almeno per ora, l’Apocalisse sui mercati è stata rinviata. Siamo sempre su un piano inclinato, e anche piuttosto scivoloso, ma qualche limitazione del danno c’è stata, grazie a quel partito della ragionevolezza che opera all’ombra del Quirinale.
La replica di Palazzo Chigi. “L’interlocuzione tra il Governo italiano e la Commissione europea avviene nel contesto di un dialogo proficuo e costante” si legge in una nota della Presidenza del Consiglio, ribadendo il “comune intento di lavorare alla stabilità dei conti pubblici e alla tutela del risparmio”, come richiamato da Sergio Mattarella. “In un periodo caratterizzato da un ciclo economico avverso, il governo intende rilanciare la crescita e l’occupazione, con una particolare attenzione agli investimenti pubblici, alla creazione di un ambiente normativo e istituzionale favorevole agli investimenti privati e al contrasto della povertà e delle disuguaglianze. L’obiettivo di tutto il governo – si assicura nella nota – è pervenire a un’Italia deburocratizzata e digitalizzata, attenta ai bisogni dei cittadini, in un quadro di stabilità finanziaria e di sviluppo sociale ed economico”.
L’HUFFPOST