Il duello sulla giustizia sarà lo scontro finale tra Lega e Cinque Stelle

Entri a Palazzo Madama e sul pianerottolo che porta all’aula del Senato trovi il ministro leghista per gli Affari regionali, Erika Stefani, fuori di sé. «La proposta 5 Stelle di bloccare la prescrizione dopo il primo grado di giudizio insorge – è una follia, una pura follia.

Ad esempio, mi domando: se un amministratore è condannato in primo grado ed è sospeso per la Severino, viene sospeso a vita visto che non c’è un limite temporale per la celebrazione dell’appello?!». Accanto a lei il sottosegretario al ministero dell’Economia, Massimo Garavaglia, ormai per commentare le «pensate» dei grillini si rifugia nel sarcasmo: «È una cosa da ridere: mi chiedo se un processo dura 80 anni chi paga l’avvocato? Ma un po’ di buonsenso, no…?!». L’umore del Carroccio alla Camera non cambia. Anzi. Il capogruppo della Lega in commissione Giustizia, Luca Paolini, si sfoga con una deputata grillina, Piera Aiello. «Ci avete dato uno schiaffo in faccia spiega senza un perché. Questo intervento sulla prescrizione, coniugato con la legge Severino, dà al giudice gli strumenti per tenerti fuori dalla politica il tempo che vuole. Questa è la strada giusta per andare a votare a febbraio, prima delle Europee». E anche la sua interlocutrice grillina, entrata nelle liste 5 Stelle per i suoi trascorsi di testimone di giustizia, resta perplessa per la boutade del ministro Guardasigilli, Alfonso Bonafede. «La verità – congettura l’Aiello – è che i miei compagni di movimento sono arrivati al governo senza essere ancora maturi per il governo».

Eppure quella che sembrava, appunto, una boutade, una provocazione per tentare uno scambio o per ricambiare la durezza con cui Matteo Salvini ha impostato il confronto parlamentare sul decreto Sicurezza, non lo è affatto. Da Conte a Di Maio, tutta l’area grillina rivendica la proposta di modifica della prescrizione. Il braccio di ferro continua: tant’è che ieri i 5 Stelle in Commissione alla Camera hanno ritirato e ripresentato l’emendamento del contendere, modificando solo una parola, per guadagnare altre 24 ore, prima che si decida sulla sua ammissibilità. «La nostra è una proposta bellissima rivendica il capo dei senatori grillini, Stefano Patuanelli – quasi identitaria. Una proposta di bandiera. E poi i leghisti non ci hanno fatto toccare palla sull’immigrazione, per cui…».

Nelle parole di Patuanelli ci sono tutte le ragioni che hanno portato il vertice grillino a fare questa mossa, che potrebbe rivelarsi azzardata. Intanto Di Maio e soci avevano bisogno di aprire un altro fronte con Salvini, che li sta mettendo in croce sul decreto Sicurezza, umiliando con il voto di fiducia sul provvedimento (se non ci sarà un ripensamento) i dissidenti, costretti o a tornare sui loro passi, o a disertare l’aula. Il vicepremier leghista è stato spietato nelle sue argomentazioni: «Di Maio non riesce neppure a tenere i suoi». «E il voto di fiducia è stato il corollario del vicepresidente leghista del Senato, Roberto Calderoli è un modo per riportare tutti all’ordine». Il vertice grillino ha abbozzato anche perché sul tema della sicurezza Salvini gode del favore dell’opinione pubblica, ma ha rilanciato con l’emendamento sulla prescrizione nel disegno di legge «anticorruzione» alla Camera: una proposta figlia del Dna giustizialista del movimento, che copre l’ala governativa sul versante della base più ortodossa. Chi potrebbe criticare Di Maio, quando sposa «in toto» in un provvedimento del governo le tesi di Piercamillo Davigo, del pm Nino Di Matteo, di Travaglio? Inoltre nel momento in cui la legge del bilancio rischia di perdere pezzi per lo spread, per il Pil in contrazione, perché c’è bisogno di trovare risorse per far fronte alle emergenze nelle zone alluvionate, e non si sa, quindi, cosa resterà del reddito di cittadinanza, Di Maio ha bisogno di una proposta di bandiera che ricompatti la sua base, che ridia un’identità al movimento, ricollegandolo allo slogan delle origini «onestà, onestà, onestà».

Per cui il duello sulla giustizia risponde all’esigenza tattica di replicare all’offensiva della Lega, permettendo ad un movimento in piena confusione, di guadagnare tempo, di galleggiare. Solo che l’operazione è stata messa in atto in maniera maldestra. «Bonafede è il giudizio severo dell’ex responsabile giustizia del movimento finito nell’area della dissidenza, Maurizio Buccarella è stato un cogl…, ha presentato una proposta giusta nei modi sbagliati». «Non capisco osserva l’azzurro Pierantonio Zanettin come un movimento che è sceso in piazza per difendere la Costituzione contro Renzi, presenti un provvedimento che cozza platealmente con l’articolo 111 della Carta che recita: La legge assicura la ragionevole durata del processo. La legge, quindi, non il giudice».

A parte le differenti valutazioni sul piano tecnico-giuridico, lo scontro sulla giustizia contrappone, soprattutto, le identità dei due partiti di governo: i 5 Stelle sono lo «strumento» dell’anima più giustizialista della magistratura; la Lega, invece, ne è il bersaglio di oggi. Basta leggere in controluce gli emendamenti presentati dai grillini sul provvedimento anti-corruzione: se fossero stati in vigore nel 2013 il Cav sarebbe andato in galera, oggi, invece, la rischierebbe (tenendo conto le richieste del Pm nel processo sulle spese pazze in Liguria) il viceministro leghista Edoardo Rixi. «Mentre se fosse confermata la sentenza in Cassazione il capogruppo dei senatori del Carroccio, Riccardo Molinari sostiene il piddino Gennaro Migliore decadrebbe da parlamentare». Insomma, per difendersi dalle scorribande dell’ala più politica della magistratura, i leghisti hanno bisogno di una legislazione più garantista. Non per nulla nei loro emendamenti c’è una rivisitazione del reato di «peculato» e, addirittura, qualcuno di loro, pensa che sia necessario rivedere la legge Severino e le sue contraddizioni.

Insomma, siamo agli antipodi. «Sulla giustizia è venuto meno l’accordo tra grillini e leghisti spiega Enrico Costa, che come capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia assiste a tutti questi movimenti per cui nessuno metteva becco negli affari degli altri». L’argomento più spinoso degli ultimi 30 anni di politica italiana rischia, infatti, ancora una volta, di inceppare il meccanismo che teneva in piedi il fragile equilibrio del governo gialloverde. Il punto di rottura potrebbe essere raggiunto se non oggi, in un domani molto prossimo. «I grillini sono nervosi è la tesi dell’ex premier, Paolo Gentiloni perché la loro parabola discendente nei sondaggi è costante. Hanno puntato tutto sui provvedimenti di spesa, sui soldi che non ci sono. Per cui tentano di trovare altri temi. Ma vista la loro crisi Salvini potrebbe andare alle urne subito dopo le Europee per passare all’incasso». C’è, però, anche chi, frequentando assiduamente il Carroccio di questi tempi, ipotizza un altro calendario. «C’è molta fibrillazione nella Lega confida Daniela Santanchè, ambasciatrice della Meloni presso Salvini – per ovvi motivi per me si andrà avanti fino all’approvazione della legge di Bilancio, ma il giorno dopo il matrimonio tra Salvini e Di Maio andrà in frantumi».

IL GIORNALE

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