Una legge ogni 25 giorni: così crescono gli abusi edilizi

Due numeretti bastano e avanzano per entrare nel labirinto normativo. «Le leggi in materia di edilizia – spiega l’avvocato Corrado Sforza Fogliani, uno dei massimi esperti del settore – sono cambiate 133 volte dal 2009, in pratica c’è una novità ogni 25 giorni, o giù di lì.

E per quanto riguarda i privati le modifiche apportate nello stesso periodo sono 78 e toccano un ventaglio di permessi, da quelli energetici a quelli fiscali». Dunque, occorre tenere a mente queste cifre sulla ruota degli abusi che riempiono e in parte sfigurano il nostro Paese. Se costruire è impresa complicata e contorta, tante volte non lineare, allora ci si arrangia con le scorciatoie.

«Il nostro – riprende il presidente del Centro studi di Confedilizia – è spesso un abusivismo di necessità, anche se naturalmente non mancano i furbi, quelli che ci provano puntando proprio sul bizantinismo delle leggi, e dall’altra parte, sul lato dei controllori, troviamo quelli che chiudono un occhio, meglio se in cambio di un obolo». I meccanismi del sistema, in nome della semplificazione, si attorcigliano sempre più: «Una volta – racconta Sforza Fogliani – c’era il piano regolatore e ci si confrontava con quello. Oggi abbiamo i piani di attuazione che cambiano in continuazione e non è facile entrare in sintonia con il pensiero di chi crea regole su regole che mutano nel tempo e nel territorio». È il punto fondamentale di ogni ragionamento sensato sul tema: troppi passaggi e troppo tempo sono il modo migliore per alimentare la fabbrica degli abusi.

«Per edificare un immobile, ma spesso anche una villetta o un magazzino – prosegue l’avvocato – è necessario confrontarsi con il piano di quel comune e con quel nome particolare. Ma quando sulla carta si è ottenuto l’ok, ecco che comincia un’altra snervante trafila. Si devono mettere in conto almeno dieci – quindici passaggi e altrettanti permessi e pareri da chiedere a un grappolo di enti che, naturalmente, non sono sempre gli stessi da un luogo all’altro». E questo ci può anche stare perché non è la stessa cosa realizzare un edificio in campagna o in città, in un centro storico carico di monumenti o in una nuova periferia. Comunque, il girotondo, che spesso si trasforma in un giro dell’oca, prevede molte stazioni: dalla sovrintendenza all’unità sanitaria locale, fino ai consorzi di bonifica, quando ci sono.

«Quello dei consorzi di bonifica, un centinaio in tutta Italia, è un altro capitolo doloroso – aggiunge Sforza Fogliani – perché storicamente non hanno controllato e bloccato sul nascere gli abusi a ridosso di fiumi, laghi e corsi d’acqua, non hanno messo un argine allo scempio del territorio e alla difesa di aree fragili, ma in generale hanno pensato a fare cassa. Ancora oggi portano a casa qualcosa come 500 milioni di euro». E un altro giro di valzer fra le carte e la burocrazia. Ma purtroppo non c’è solo questo a incidere nel rapporto difficile e problematico fra il privato e l’istituzione. A complicare la vita interviene in molte realtà un’ulteriore richiesta della pubblica amministrazione: quella della cosiddetta manifestazione di interesse a costruire. «È un piccolo ma diabolico paradosso – riassume il presidente del Centro studi di Confedilizia – anche se l’area è fabbricabile ci vuole la manifestazione di interesse. E se questa dichiarazione manca rischia di saltare tutto». Pure se il volonteroso operatore ha seguito alla lettera tutta la mortificante catena delle prescrizioni. Cosi come è sorprendente che in molti comuni si sia introdotta al termine dell’iter l’ennesima contorsione: l’esame della pratica in consiglio comunale. Il paese dei mille lucchetti e chiavistelli diventa quello degli orrori e dei misfatti senza limite. Anche perché le norme sulle sanzioni poggiano a loro volta su fondamenta ambigue: «L’abuso – conclude Sforza Fogliani – dovrebbe essere demolito, ma spesso si trova il modo per sanarlo». Incoraggiando una sorta di far west all’italiana.

IL GIORNALE

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