Senza quell’Aula non c’è democrazia
Qualche settimana fa mi è capitato di accompagnare un gruppo di ragazzi in visita alla Camera dei deputati. Giovani intelligenti, sensibili, già dotati della giusta dose di malizia e di disincanto di fronte alla retorica, li ho visti girare emozionati per i lunghi corridoi di Montecitorio, il Transatlantico, le sale della Lupa dove si riunirono i deputati dell’Aventino dopo il delitto di Giacomo Matteotti nel 1924 e dove fu proclamata la Repubblica nel 1946, la sala della Regina, fino ad arrivare alla tribuna che si affaccia sull’aula. «C’è un senso di religiosità», mi ha detto uno di loro, a ragione.
Il Parlamento, ogni parlamento, è un tempio laico dove si celebra la religione della libertà, della democrazia e del pluralismo. Quello italiano ancora di più, perché ha subito nel corso della sua storia l’onta di essere stato trasformato dal regime fascista nella Camera dei fasci e delle corporazioni, con i gerarchi tutti in camicia nera.
Sono passati cento anni dall’inaugurazione dell’aula della Camera, così come la conosciamo oggi. La prima seduta, il 20 novembre 1918, doveva celebrare la vittoria dell’Italia liberale e invece fu l’anticipo del ventennio mussoliniano. Oggi c’è un’Italia nuova, il governo del Cambiamento, eppure lo spettacolo offerto dai deputati (e dai senatori) è raggelante. Parlamento inattivo, ordine dei lavori prosciugato, attività parlamentare ridotta al lumicino. Decadenza del ruolo dei parlamentari. Chi sa indicare i nomi dei capigruppo di Camera e Senato dei due partiti di maggioranza, Movimento 5 Stelle e Lega? Coraggio, non vi preoccupate se non vi viene in mente nulla, la soluzione è in fondo a questo articolo. Eppure fino a non troppi anni fa era una carica autorevole e molto ambita, oggi non se ne conosce neppure il nome e il volto, in compagnia di gran parte degli inquilini del Palazzo.
Non comincia certo da oggi, la delegittimazione delle assemblee parlamentari, e non è un fenomeno soltanto italiano. Crisi extraparlamentari, si chiamavano nella Prima Repubblica, tutte lo erano, al punto che il primo governo caduto nell’aula di Montecitorio in seguito a un voto di sfiducia è stato il governo dell’Ulivo di Romano Prodi, nell’ottobre 1998, venti anni fa.
Il regno della Casta, il Palazzo lontano e distante, assediato dall’esterno, quante volte lo abbiamo raccontato così, denunciando i privilegi, i soprusi, le scandalose immunità, gli orpelli che hanno via via separato la nomenclatura degli onorevoli dai comuni cittadini.
Oggi per molti il Parlamento è la House of Cards, la serie televisiva ambientata nella Casa Bianca prende spunto dai romanzi di Michael Dobbs, che fu il Chief Whip, ovvero il segretario d’aula, nel Partito conservatore inglese all’epica di Margaret Thatcher. «Un tempo Westminster era una palude sulla riva del fiume. Poi la trasformarono, costruendo un palazzo e una grande abbazia, innalzando un immenso miscuglio di nobile architettura e ambizione insaziabile. Nel profondo, però, è rimasta una palude», scrive Dobbs nel primo volume della serie, descrivendo quell’ambiente limaccioso, malsano, soffocante che è un’aula parlamentare, con le sue luci basse e innaturali, e poi i suoi trabocchetti, sporchi giochi, complotti, i deputati nel loro rapporto pericoloso con i giornalisti, spesso concentrati in un unico spazio dove ogni cosa si confonde.
Eppure, se viene giù il Parlamento, cade anche la democrazia. È una di quelle banalità di cui ti rendi conto solo quando tutto è finito. In un sistema parlamentare come quello italiano giocare per trent’anni con le leggi elettorali, il numero dei deputati e dei senatori, il rapporto degli eletti con il territorio, i gruppi che nascono e muoiono in pochi mesi, in una parola la rappresentanza, ha finito per uccidere il Parlamento, per trasformarlo in un luogo abitato da zombies, come sognano sempre le destre di tutto il mondo, non solo quella italiana di un secolo fa che progettava di farlo diventare un bivacco di manipoli.
Oggi il Parlamento è vuoto e fare politica significa soprattutto questo, come scrisse anni fa il politologo irlandese Peter Mair, governare il vuoto. E se il Parlamento è vuoto, nessuna illusione è possibile, anche l’opposizione che vorrà limitare la sua azione di contrasto della maggioranza alle sedi parlamentari combatterà nel vuoto e si svuoterà anch’essa. È il frutto avvelenato di questi anni, che non ha portato però a una maggiore partecipazione della società. Anzi, dopo lo svuotamento del Palazzo, anche la società ha preso a prosciugarsi, di idee, azioni, persone.
In queste settimane, come ha scritto L’Espresso, c’è un grande fiorire di iniziative che nascono sui territori, spontanee, senza partiti o organizzazioni alle spalle. Ne è una prova la manifestazione in Campidoglio del 27 ottobre, un popolo di autoconvocati No-Raggi, cui la sindaca di Roma ha replicato lividamente. Per Virginia tutti i manifestanti sarebbero del Pd e dunque orfani di Mafia Capitale, esattamente come per Silvio Berlusconi le persone che scendevano in piazza contro il suo governo erano pagate dalla Cgil e per Renzi quelli che fischiavano ai suoi comizi erano tutti emissari di M5S. Fa male la sindaca di Roma a sottovalutare il segnale e a rispondere come la più ottusa dei capi-partito: la sua risposta è un altro segno dell’involuzione che sta portando il Movimento da strumento di nuova partecipazione in mano ai cittadini normali a partito militarizzato, blindato all’interno e all’esterno, chiuso come la testuggine romana invocata da Luigi Di Maio contro le divisioni e i malumori che cominciano a farsi largo tra gli eletti del 4 marzo.
Più della manifestazione del Campidoglio, un sommovimento borghese, colpisce quanto sta accadendo intorno alla sfida della nave Mar Jonio, il vecchio incrociatore acquistato da un gruppo di attivisti (parlamentari e extraparlamentari di Sinistra italiana, associazioni, movimenti, centri sociali) e all’operazione Mediterranea, l’idea di mettere in mare un’imbarcazione battente bandiera italiana per il salvataggio di migranti e la denuncia di quanto succede al largo delle coste libiche. Un’azione concreta e virtuosa che ha il merito, anche, di aver mobilitato scrittori, artisti, intellettuali, come non succedeva da molti anni. Si unisce così qualcosa di molto europeo e anglosassone, la campagna e la ricerca dell’azione concreta, con un patrimonio tutto italiano, il reticolo di mondi vitali, una riserva di socialità e partecipazione che ha pochi paragoni in Europa.
Questi mondi sono finiti sotto attacco negli ultimi anni. Chi ha puntato sulla delegittimazione del Palazzo della rappresentanza, curiosamente, ha puntato a condurre la stessa operazione sui corpi intermedi e su quanto si muove nella società. È una storia che in Italia si può collocare intorno agli anni Novanta-Duemila. Il Parlamento è stato spazzato via insieme ai partiti e la storia ha voltato pagina, lo racconta in modo ispirato e divertito Filippo Ceccarelli nel suo volumone appena uscito “Invano” (Feltrinelli), un manuale o un breviario sulla conquista, il mantenimento e il dissolvimento del potere in Italia nella storia repubblicana.
vedi anche:
Generazione Zerocalcare
Michele Rech, cresciuto in una periferia negli anni 80 e 90, diventato adulto al sanguinoso G8 di Genova. Poi lavoratore precario. Infine, voce di tanti come lui. E ora in mostra al Maxxi di Roma
La società è stata percossa, letteralmente, nei suoi punti più sensibili, i giovani e la voglia di un altro mondo possibile, è lo spartiacque che ha segnato la generazione di Michele Rech Zerocalcare, spezzata dai fatti di Genova del 2001, la repressione violenta del dissenso e della contestazione, sarà il cuore della mostra organizzata a Roma che non è solo un evento culturale ma politico, l’esempio di una ricucitura tra due ambienti, la piazza e le istituzioni, che si percepiscono come alternativi e che invece devono restare in un collegamento, anche conflittuale, se non vogliono essere entrambe perdenti.
È la storia di questi anni: non se ne sono accorti, ma parlamentari e extraparlamentari hanno vissuto un comune destino. Ora il doppio attacco arriva alla stretta finale. È bastato qualche timido segnale di rivolta tra i parlamentari del Movimento 5 Stelle per scatenare i richiami alla disciplina e il fantasma delle espulsioni che però riguarderebbero non più un movimento ancora immaturo e appena arrivato in Parlamento, ma il partito più votato d’Italia che regge il governo e la maggioranza. E poi la minaccia del solito voto di fiducia per imbrigliare i dissidenti. E la prospettiva di rendere ancora più irrilevante la rappresentanza politica con il mito della democrazia diretta, come espresso da Davide Casaleggio sulle orme del padre visionario. Ma c’è anche il tentativo di tacitare e di silenziare quanto c’è fuori dal Palazzo: una strana parabola per un movimento che era interamente nato fuori dalle istituzioni e ora si ritrova a difendere il proprio spazio di potere, come facevano all’epoca i partiti più sordi e grigi alle domande della società. Ci si blinda contro i No Tap, dopo averli corteggiati e ingannati, e intanto si accumulano direzioni di tg, come hanno fatto tutti, nell’illusione che basti una poltrona a Saxa Rubra per mantenere le posizioni perdute.
Non fa eccezione, in questo contesto, l’opposizione del centrosinistra, il Pd che continua a dividersi sui nomi e sulle date congressuali e finisce per essere assente, per la prima volta nella storia repubblicana, sia dal Palazzo che dalle piazze, sia nelle aule parlamentari, dove non si può fare opposizione perché non c’è il governo, né nei movimenti che nascono spontanei e non guidati da nessuno, nel vuoto. Il Vuoto che non prepara nulla di buono, nei prossimi mesi.
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M5S capogruppo Camera Francesco D’Uva
M5S capogruppo Senato Stefano Patuanelli
Lega capogruppo Camera Riccardo Molinari
Lega capogruppo Senato Massimiliano Romeo
L’ESPRESSO