Prova di forza di Salvini, rabbia dei 5 Stelle. Parlamento appeso a un’intesa politica che non c’è
Una farsa che rischia in un battibaleno di trasformarsi in tragedia. È sera quando Matteo Salvini piomba in Senato. Convoca le telecamere per esultare per l’imminente approvazione del decreto Sicurezza. Poi trasloca in aula, dove si divide tra i banchi del governo e momenti d’ilarità tra i banchi dei suoi. Una pura ostentazione di forza, una costruzione simbolica della leadership che ribalta il tavolo fino a quel momento imbandito dal Movimento 5 stelle.
È una partita di giro. Gli uomini di Luigi Di Maio vogliono il via libera al fine-prescrizione-mai, introdotto alla Camera da un emendamento al ddl anticorruzione. Il segretario della Lega smania per chiudere sul decreto Sicurezza, in discussione a Palazzo Madama. Un braccio di ferro. Riccardo Fraccaro, fedelissimo del capo politico M5s, calcia in continuazione il barattolo più in là. Fino a che, quando pone la fiducia sul provvedimento caro al Carroccio, i tempi costringono i senatori a rispondere alla chiama solo mercoledì mattina.
È qui che il film si ingarbuglia. Perché inizialmente Di Maio convoca ministri e capigruppo per un punto sul da farsi. È Stefano Patuanelli, che guida la pattuglia dei senatori, a mettere giù le carte sul tavolo: “La nostra lealtà non può prescindere da quella della Lega”. Un do ut des chiaro, lampante. Che tuttavia si gioca su piani asimmetrici, visto che il disco verde sulla prescrizione arriverebbe comunque dopo quello sul decreto sicurezza. Con in mezzo un voto di fiducia che, se negativo, porterebbe dritti verso la crisi di governo.
Una soluzione va trovata prima che a Palazzo Madama inizi la conta. E Palazzo Chigi fa trapelare la notizia di un vertice a tre, con Giuseppe Conte e i vicepremier. Le agenzie di stampa sparano la notizia proprio mentre Salvini, dopo un breve briefing con i suoi, sta arrivando in Senato. La comunicazione del segretario della Lega è presa in contropiede. E si affretta a smentire qualunque tipo di incontro. Ed ecco che arriva lui: “Il mio vertice è con ragù e Champions league”, alludendo alle partite serali di Napoli e Inter.
Al Senato c’è Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera. “Cosa ci fa qui? È venuto a trovarci e a bere uno spritz”, ironizza il collega a Palazzo Madama Massimiliano Romeo, prima di aprirsi in una sonora risata. La prossemica non è quella dell’imminente tragedia. Ma i motivi per cui Molinari sia a Palazzo Madama non sono difficili da intuire. Prima che Salvini entri nell’emiciclo si ferma in fondo a un corridoio a parlare lungamente con il suo luogotenente a Montecitorio.
Proprio negli stessi istanti arrivano raffiche di precisazioni dai vertici 5 stelle: “Niente vertice con i ministri”. Perché? “Perché c’è il vertice a Chigi con Salvini”, le risposte univoche. Quello appena smentito. Il leader della Lega gioca al gatto con il topo. Non ha nessuna convenienza a sedersi al tavolo sulla prescrizione prima di aver incassato il decreto Sicurezza. E tiene gli alleati sulle spine, gigioneggiando in aula.
All’ora di cena Giuseppe Conte torna nei suoi uffici dopo aver registrato un’intervista a DiMartedì e aver detto di non essere “l’arbitro” dei contrasti tra i due vice, ma il “garante del contratto”. Quando incontra i giornalisti li fulmina con una battuta: “Serata finita? C’è la Champions…”. A qualche chilometro di distanza Salvini esce da Palazzo Madama e si infila in una macchina. Lo inghiottono le luci gialle che sfigurano corso Rinascimento. E una lunga notte romana.
L’HUFFPOST