Da stampella Pd a guida M5s la metamorfosi delle toghe
M artedì sera, alla buvette di Montecitorio, mentre nella maggioranza infuria il duello sulla proposta che, nei fatti, abolisce la prescrizione, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, commenta a mezzabocca questo dibattito, per i più surreale.
In realtà il numero due del Csm, ligio al suo ruolo, non vorrebbe parlare, ma, complice l’aria di casa (un mese fa era deputato del Pd), qualche battuta gli sfugge. «È una mezza pazzia, ma non fatemi parlare», è la sua preghiera: «Con il ruolo che ricopro, come posso dire la mia su un tema su cui si rischia la crisi di governo e su cui il ministro della Giustizia ci ha chiesto un parere. Comunque, mi sbaglierò, ma non penso che la maggioranza del Csm su questo tema la pensi come il governo…».
Ermini, a conti fatti, svela un dato per alcuni deludente, ma per molti rassicurante: il profeta dei 5stelle, Piercamillo Davigo, il teorico dell’abolizione della prescrizione che i grillini avrebbero voluto candidare a Palazzo Chigi, sulla sua proposta, almeno nell’organo di autogoverno dei magistrati, è in minoranza. Anzi, sulla «prescrizione» lo schieramento gialloverde nel Csm è già andato in crisi: i consiglieri eletti dalla Lega sono stati presi in contropiede dalla sortita del ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, e fanno buon viso e cattivo gioco.
In sintesi: la pensano in maniera diversa. E il motivo è ancora più di fondo rispetto al confronto-scontro sulla prescrizione. Temono, infatti, che alla grande confusione in cui versa da decenni il sistema giudiziario italiano, possa aggiungersi un’ulteriore degenerazione: se per vent’anni una parte politica, la sinistra, ha influenzato settori della magistratura, le famose toghe rosse, ora siamo arrivati all’assurdo che un gruppo, una corrente di magistrati, possa comandare e indirizzare un movimento politico che è al governo del Paese. Un capovolgimento di ruolo che forse è ancora più pericoloso della condizione precedente.
E i segnali che i grillini, in questa fase di disorientamento per avere subito i diktat di Salvini sul decreto sicurezza, con le rinunce, o mezze rinunce, che rischiano di essere costretti a fare nella manovra (a cominciare dal reddito di cittadinanza), diventino succubi di un «network» in grado di garantirli di fronte a una base scontenta, magari rispolverando il Dna giustizialista del movimento, ci sono tutti. La sortita sulla «prescrizione» è stata quasi dettata da questo mondo collaterale al vertice del movimento: Marco Travaglio l’ha tirata fuori sul Fatto; il pm di Palermo, Nino Di Matteo, l’ha rilanciata; e alla fine, è arrivata la benedizione del giudice di Cassazione e membro del Csm, Davigo, arrivato alla ribalta 25 anni fa con il pool di Mani pulite.
Proprio Davigo potrebbe diventare, con l’eclissi sempre più marcata di Grillo, il nuovo profeta di un movimento in crisi, in cerca di nuovi autori. Sui temi della giustizia, infatti, l’ex collega di Di Pietro, è diventato l’oracolo dei 5stelle. I suoi libri sono venerati come reliquie. L’altro giorno in Commissione alla Camera, per difendere l’emendamento sulla prescrizione, il deputato grillino Francesco Forciniti, ha esclamato come se fosse una sentenza: «Ma se lo dice Davigo, come potete metterlo in dubbio!». Tant’è che il leghista Luca Paolini, ha cominciato a prendere in giro gli alleati di governo, inscenando questa pantomima tra i banchi dei parlamentari: «Cito il Vangelo secondo Davigo. A pagina 116, il versetto sulla prescrizione recita…». Poco dopo Paolini ha spiegato ai suoi il senso della sua boutade : «Loro non discutono quello che dice Davigo, lo ripetono come se fosse il Vangelo. È il loro vessillo».
Solo che i limiti, la sudditanza culturale che le altre forze politiche, individuano in questo atteggiamento verso personaggi come Davigo, Di Matteo, o, per essere più chiari, verso l’intero network giustizialista, vengono considerati nella cosmologia grillina una risorsa. «Chi ci critica perché andiamo dietro a Davigo – osserva il sottosegretario ai rapporti con il Parlamento, Vincenzo Santangelo – non capisce che per noi è motivo di orgoglio. Noi siamo nati per questo». Appunto, il giustizialismo è l’ultima risorsa del movimento, l’identità in cui si rifugia nei momenti di difficoltà. Per cui più il governo non darà risposte agli obiettivi programmatici dei 5stelle, più andrà in crisi il rapporto tra il vertice grillino e il retroterra elettorale del movimento, e più il ritorno al giustizialismo delle origini sarà marcato, con nuovi eroi come Davigo. È fatale: in fondo il periodo del Terrore fu la conseguenza dell’incapacità della Rivoluzione francese di dare una risposta alle tante attese suscitate nella popolazione. E i grillini cosa sono se non la parodia, da comicità demenziale, dei giacobini? «Quella sulla prescrizione – osserva l’ex ministro della Giustizia, Andrea Orlando – è una proposta assurda: perdono nei sondaggi e tornano alle origini». «Una situazione pericolosissima – ammette il pd Giuseppe Cucca, con una punta di autocritica -. Se prima era un problema che la politica influenzasse la magistratura, adesso che un gruppo di magistrati dia direttive a un partito di governo è un dramma». Un condizione, però, che i leghisti non possono accettare, visto che potrebbero diventare le vittime predestinate di questo risiko italiano: se il Pd può contare su ciò che resta delle toghe rosse, infatti, e i grillini possono trasformarsi nello strumento di governo della parte più interventista della magistratura, gli uomini del Carroccio sono nudi. L’ha spiegato lo stesso Berlusconi a Salvini in un colloquio telefonico di qualche giorno fa. Ma non c’era bisogno: i primi a sapere di essere esposti, sono i leghisti. Certo, Salvini prende tempo e tenta di far quadrare il cerchio, magari rimandando la riforma della prescrizione a una più ampia dell’intero processo penale, ma i suoi hanno i nervi scoperti. «Ad esempio la legge Severino – spiega il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo – è una cagata. Mi domando perché i parlamentari decadano a sentenza definitiva e gli amministratori locali, invece, sono sospesi subito, dopo la condanna in primo grado». «Qui – gli fa eco un leghista piemontese – bisognerebbe mettere in piedi una grande riforma della giustizia e farla partire con un’amnistia».
Questa è l’aria che si respira dalle parti della Lega. «Ma lì c’è politica – ammette Pier Ferdinando Casini, che pure non li ama – Di Maio, invece, cos’è? A uno che vola in Cina in seconda classe e poi chiama il leader cinese Ping, non puoi spiegargli la vita. E più facile spiegarlo ai miei figli. Quando sono andato in Argentina gli ho detto, non mi fate questioni di prima classe o altro. Voi avete un genitore ricco e uno povero e voi avete già capito che io sono il povero».
IL GIORNALE
This entry was posted on giovedì, Novembre 8th, 2018 at 09:05 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.