Via ogni alibi, i Cinquestelle dimostrino di saper governare
ENRICO BELLAVIA
La scomposta canea contro i giornalisti come unica reazione all’assoluzione di Virginia Raggi, qualifica un vuoto politico che persiste e che ha rappresentato la cifra di questi primi due anni.
L’assoluzione lascia intatto il cuore del problema: l’incapacità dei Cinquestelle romani di esprimere una classe dirigente in grado di supportare la sindaca fin dall’insediamento nella stanza dei bottoni. Raggi e i suoi assessori hanno dovuto fidarsi della lealtà ostentata da Raffaele Marra, non interrogandosi a sufficienza sui suoi trascorsi e sulla sue rete di relazioni che gli è valsa una accusa di corruzione.
Gli uomini e le donne scelte in autonomia si sono rivelati, al meglio, inadeguati al ruolo e la girandola di componenti della giunta e di amministratori delle partecipate è lì a raccontarlo.
E non ha funzionato neppure quando, di commissariamento in commissariamento funzionale, è stata la Casaleggio Associati a fornire nomi e curricula. Valga per tutti l’esempio di Luca Lanzalone.
L’assoluzione cancella l’esistenza della volontà di commettere un reato ma non è, come si vuol far passare, un gigantesco colpo di spugna su errori, inadempienze, macroscopici azzardi che pur non avendo nulla di penalmente rilevante non sono per questo automaticamente liberi da sanzioni politiche.
Non uno dei guasti preesistenti di Roma è stato fin qui risolto. E di nuovi se ne sono aggiunti. Anzi: il processo da almeno un anno e mezzo costituisce l’unico argomento di discussione, costituendo anche il gigantesco alibi mediatico dietro il quale l’amministrazione ha potuto occultare la propria inadeguatezza.
Ora ai Cinquestelle tocca davvero governare e senza capri espiatori da rintracciare tra i giornalisti ma dimostrando nei fatti che il consenso dei romani non è scalfito dalla prova dei fatti.
Lo stadio “fatto bene” per dirla con la sindaca, ad esempio, è frutto dell’ennesimo abbaglio che ha impedito di vedere il raggiro ai danni della città. Con il miraggio sbandierato di una riduzione delle cubature ci si è arroccati a difendere un’opera che avvantaggia solo Luca Parnasi e i suoi amici. Una manovra possibile solo quando Parnasi e soci hanno fatto breccia nella granitica opposizione dei Cinquestelle, poggiando sul solito Lanzalone e riuscendo a piegare le istintive resistenze della sindaca a suon di planimetrie e metri cubi, dimenticando che con le cubature sparivano anche opere fondamentali per la viabilità della città.
Non c’è nulla di penalmente rilevante per la sindaca nell’essersi fatta abbindolare e nella sua distrazione sul vorticoso giro di favori e regalie che ha accompagnato la procedura. Ma, politicamente, lo stadio, a prescindere dalla sua evoluzione giudiziaria, è la cartina di tornasole di un modo di amministrare. Nella convinzione che basti dirsi onesti per far le cose per bene. Perché la via per i disastri è lastricata di buone intenzioni.
L’assoluzione per la nomina di Renato Marra non cancella l’inopportunità politica di elevare un fedelissimo come Salvatore Romeo a stipendio triplicato e non esime dalla necessità di procedure trasparenti nelle scelte. Soprattutto quando si contesta la pratica delle cooptazioni e poi nei fatti si sceglie per appartenenza. Esattamente come i predecessori.
La fine di questa vicenda giudiziaria può essere di monito non solo per chi governa: all’opposizione tocca recuperare il ruolo di denuncia e sanzione politica all’operato dell’amministrazione senza fare la fila a depositare esposti che nella prassi romana vengono tradotti in fantomatiche nuove inchieste giudiziarie che spesso, lì dove si ragiona codice alla mano e sulla base di precise responsabilità personali, si risolvono in un nulla di fatto.
Chi doveva fare le pulci alla sindaca spesso si è fatto scudo delle carte giudiziarie, incapace di sviluppare in proprio, in autonomia e in nome di una vera preminenza del dato politico, un’analisi tutta giocata sul piano della capacità amministrativa. Liquidare l’avversario per via giudiziaria è una scorciatoia sconsigliabile: perché è una scorciatoia e perché in una logica di alternanza democratica è foriera di un effetto boomerang. Come Raggi ha sperimentato.
REP.IT