Renzi placa i suoi «Voglio battere Lega e 5 Stelle, non Zingaretti»
Alla fine è toccato a Matteo Renzi fermare le fughe in avanti dei suoi fedelissimi, riuniti a Salsomaggiore per capire dove, e come, andare. L’ex sottosegretario Sandro Gozi, che ieri mattina durante il conclave a porte chiuse lo ha detto senza giri di parole: «Non sono convinto che il Pd di Zingaretti possa essere il mio partito». O l’ex viceministro Teresa Bellanova, per cui «l’unità del partito non si costruisce nascondendo le cose sotto il tappeto». L’ex premier non è certo un tipo che si nasconde, ma ai quasi quattrocento fedelissimi arrivati per sfogarsi e ascoltarlo ha fatto capire che no, non ci sarà un partito di Renzi. Almeno non adesso. E che lui non si accontenterà però di un ruolo da comprimario.
«Non sarò mai il capo di una corrente, né di nessuna area. Non mi ritengo uno che può rappresentare la parte di un partito, che per me è un mezzo e non un fine», esordisce dal palco l’ex premier. «Non sono cresciuto con il sogno della Ditta. E guardate che quelli cresciuti con quel sogno, o almeno parte di costoro — aggiunge incassando il primo applauso — hanno ritenuto prioritario perdere il Paese pur di riprendersi la Ditta». Molte facce in platea sembrano deluse, qualcuno bisbiglia: «Ma allora che ci facciamo qua?». Il messaggio non è rivolto solo a loro ed è racchiuso tutto nella citazione di Frank Sinatra, «il meglio deve ancora venire», che chiude un intervento lungo e appassionato (Renzi si scalda quando attacca il governo sul decreto Genova, «Incapaci!», e quando risponde a Rocco Casalino che lo accusa di strumentalizzare la nipote down, «Vergogna!»).
L’autocritica resta fuori dal teatro. Il «meglio» del renzismo verrà, è la convinzione dell’ex premier. Una promessa ai suoi e un avvertimento a chi, nel partito, pensa che la sua epoca sia finita con le dimissioni: prima da premier e poi da segretario. «Il mondo non inizia e non finisce con questo congresso. Tutto ciò che potrà contribuire all’autorevolezza e al riformismo — dice sulle candidature — lo vedremo di buon occhio. Non mi interessa sconfiggere Zingaretti, ma la barbarie culturale di Lega ed M5S». Come dire: giocate pure questo match nel partito, io ci sarò quando sarà il momento di pensare al Paese. «Abbiamo sogni molto più grandi di condizionare il prossimo segretario del Pd». Perché, pronostica l’ex premier scontentando molti in sala, «il tempo di questa legislatura non sarà breve. Vedrete: questo Parlamento non si lascerà sfuggire l’opportunità di eleggere il Presidente della Repubblica, ma allo stesso tempo non arriverà molto in là».
Il convitato di pietra che Renzi non nomina in oltre un’ora di intervento, Marco Minniti, nonostante l’assenza è ben presente in sala. Anche più di Graziano Delrio, arrivato a sorpresa perché «non potevo mancare», ma decisamente freddo sull’opportunità di sostenere l’ex ministro dell’Interno come prossimo segretario. «Speriamo che Minniti si candidi», insiste Beppe Fioroni. «Il nostro candidato vincerà le primarie», scommette Ettore Rosato: «E Minniti ha le caratteristiche che servono». Lui, l’ex ministro, resta in surplace. E così Maurizio Martina. «Se si candidassero entrambi questa platea si spezzerebbe in due», fa notare un renziano della prima ora. Il tempo delle riserve da sciogliere sta scadendo per entrambi: all’assemblea del Pd manca meno di una settimana.
CORRIERE.IT
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