La Bce continuerà a sostenerci anche dopo la fine del piano Draghi
La crescita mondiale rallenta, frenata dalla crisi delle valute dei Paesi in via di sviluppo, dalle incertezze commerciali e da uno sviluppo disomogeneo, e anche in campo europeo alcuni dogmi cominciano a scricchiolare e si aprono spazi per discussioni sul futuro dell’euro e dell’economia comunitaria, che vedono la Banca centrale europea in prima fila.
L’istituto di Francoforte, rispetto alla Commissione, ha rappresentato negli ultimi anni uno dei pochi contraltari alla linea del rigore. A Mario Draghi e al suo quantitative easing si può certamente riconoscere il risultato di aver salvato l’euro da un default catastrofico nel medio periodo, ma non di avergli dato una coerenza strutturale nel lungo periodo (cosa che del resto richiederebbe poteri che lo statuto della Bce non contempla), e ora Francoforte guarda oltre la fine della sua fase più espansiva.
Certamente, Draghi non potrà, anche volendolo, riattivare il Qe nella sua versione integrale, dopo aver investito un capitale personale e politico notevole per permetterne la proroga sino a fine anno. Potrà però far sì che, sino alla fine del suo mandato, la Bce interpreti il suo mandato nella maniera più elastica ottimizzando le potenzialità a sua disposizione per prevenire una crisi monetaria o finanziaria.
Tltro, la nuova arma di Draghi
Come sottolinea La Stampa, “nei prossimi due anni vanno in scadenza più di 700 miliardi di euro di prestiti a lungo termine della Bce agli istituti di tutta Europa. Si tratta di quanto raccolto attraverso le aste ‘Tltro’ (acronimo di Targeted Longer Term Refinancing Operations), prestiti a tassi bassissimi per garantire liquidità al sistema del credito, e di riflesso, al mondo delle imprese. Le banche italiane hanno sottoscritto circa un terzo di tutti quei prestiti”, con 250 miliardi procacciati principalmente da Intesa e Unicredit (circa 125 miliardi in due). Un nuovo round di finanziamento sarebbe una boccata d’ossigeno necessaria, visto l’aumento dei costi di finanziamento che devono sostenere le banche italiane dopo l’aumento dello spread, e contribuirebbe in generale al benessere dell’Eurozona.
I governatori centrali di Francia e Italia, François Villeroy de Galhau e Ignazio Visco, si sono trovati d’accordo con Draghi sulla necessità del mantenimento di una serie di opzioni attive per la politica della Bce, che dunque non dovrebbe traghettare gli ultimi mesi di mandato di Draghi in compiti di ordinaria amministrazione.
E le Tltro possono essere una scelta vincente per affrontare una fase di rallentamento della crescita. Come sottolinea Wall Street Italia, inoltre, esse rappresentano operazioni “mirate al credito per l’economia reale”, che potrebbero inoltre impattare positivamente sul contesto italiano. Segno che la pregiudiziale antitaliana della Bce ventilata da Luigi Di Maio non appare sussistere.
Con le Tltro la Bce aiuterebbe l’economia italiana
Le Tltro permetterebbero agli istituti bancari italiani di respirare dopo la buriana legata all’incremento dello spread, garantendo un afflusso di risorse a buon mercato.
A tal proposito si è espresso Il Sussidiario: “Un nuovo round di finanziamento sarebbe una boccata d’ossigeno necessaria, visto l’aumento dei costi di finanziamento che devono sostenere le banche dopo l’aumento dello spread: 86 punti base in più per i Btp rispetto ai Bund tra fine settembre e metà ottobre. Non sono escluse operazioni twist, tipo quella adottata a suo tempo dalla Fed, che consiste nel concentrare gli acquisti da reinvestimento sulle scadenze lunghe per stimolare gli investimenti. O allungare nel tempo il periodo di reinvestimento dei titoli nel portafoglio della Bce”.
Si parla di una politica per cui Draghi e i suoi collaboratori dovrebbero in ogni caso trovare appoggi politici nei Paesi egemoni nella sfera comunitaria, che potrebbero ritenerla eccessivamente sbilanciata verso l’Italia e gli altri Paesi dell’area mediterranea. Ma che segnala anche una grande contraddizione nel dibattito sulla manovra italiana: la Bce segue la Commissione e il Fmi negli attacchi alla manovra italiana, ma al contempo lavora nelle ristrettezze del suo mandato in maniera più alacre delle altre istituzioni europee; il governo, invece, si focalizza nella risposta alla Commissione ma dovrebbe amplificare le leve politiche verso Francoforte.
Non è escluso che ciò possa, nel breve periodo, accadere. E il governo italiano è forte della presenza del sottosegretario Giorgetti, addentro ai poteri italiani e comunitari e amico personale di Draghi. Non a caso, Salvini ha smorzato più volte le uscite del vicepremier Di Maio sul governatore della Bce. Draghi e le sue politiche hanno avuto punti contrastanti e limiti, ma al confronto dei vari Juncker e Moscovici egli è depositario di un altro spessore. Inimicarselo definitivamente potrebbe portare conseguenze impreviste.
IL GIORNALE