I Campi Flegrei, il più pericoloso dei vulcani italiani, sono alla vigilia (in termini geologici) di una nuova, violentissima eruzione

Luigi Bignami

La zona di Napoli. Nel cerchio a sinistra i Campi Flegrei, l’area interessata dalla riattivazione del sistema magmatico; in quello a destra, il Vesuvio. Elab. Google Maps

L’allarme a livello giallo per gli scienziati che era stato dato alcuni mesi orsono per il più pericoloso dei vulcani italiani, i Campi Flegrei, ha ragione di essere dopo uno studio realizzato da Francesca Forni, del Politecnico di Zurigo in Svizzera, e pubblicato su Science Advance.  Secondo tale ricerca infatti, i Campi Flegrei  sono alla vigilia di una nuova eruzione di grandi dimensioni. Sottolineiamo subito però, che il fenomeno deve essere visto in termini geologici e dunque il pericolo può anche non essere imminente.  Questa ricerca conferma quanto venne portato alla luce anche da uno studio realizzato da Giuseppe De Natale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che venne pubblicato l’anno scorso su Nature Communication.

Giuseppe De Natale. Facebook

La storia dei Campi Flegrei è segnata da eruzioni violentissime. In tempi relativamente vicini a noi se ne ricordano almeno due: la prima avvenne circa 39.000 anni fa. L’eruzione emise così tanto materiale da ricoprire la maggior parte della Campania con uno strato di tufi. L’attività eruttiva fece sprofondare una parte dell’area su cui oggi sorge Napoli e gli stessi Campi flegrei. Fu allora che si formò una caldera che successivamente venne parzialmente invasa dalle acque del Mar Tirreno.

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A distanza di circa 24.000 anni, vi fu una seconda grande eruzione che portò alla formazione di una seconda caldera all’interno della prima. Negli ultimi 10.000 anni la seconda caldera si è sollevata di circa 90 metri per un fenomeno noto come “risorgenza”, solitamente legato ad una risalita di corpi magmatici dal profondo. Questi due grandi eventi non sono gli unici avvenuti negli ultimi 60.000 anni, in quanto vi ne sono state molte altre eruzioni, anche se sempre di minore intensità.

La ricerca di Forni è partita dall’analisi delle rocce, e dei minerali presenti al loro interno, di una ventina di eruzioni che hanno interessato i Campi Flegrei, con particolare attenzione ai due grandi eventi. L’analisi ha permesso di capire come è variata nel tempo la temperatura del magma e la quantità d’acqua presente al suo interno, un elemento molto importante nell’innescare le eruzioni. A quel punto i risultati sono stati combinati con un modello che ricostruisce i meccanismi che portano ad eruzioni di grandi dimensioni dopo una serie di piccole attività.

Il lungo e complesso lavoro ha permesso ai ricercatori di capire che la più recente eruzione, quella che ha interessato il Monte Nuovo nel 1538 e che fu di piccola portata, aveva caratteristiche molto simili a quelle che alimentavano l’attività iniziale delle eruzioni che portarono alla formazione delle caldere.

L’eruzione del 1538, che ha dato origine al Monte Novo. Osservatorio Vesuviano INGV

Secondo Forni dunque, è in atto un cambiamento delle condizioni chimico-fisiche del magma che sta separando una grande quantità di sostanze volatili dal resto del materiale magmatico. Questo causa un incremento della pressione dei gas all’interno della camera magmatica che generalmente porta ad una violentissima eruzione.

Quando? Al momento nessuno può fare una previsione, ma questa nuova ricerca dice che il vulcano deve essere tenuto sotto controllo più che ogni altro.

Il motivo è che la zona in cui si trova la caldera a rischio di eruzione è densamente popolata, coinvolgendo anche la città di Napoli: ci sono almeno 1,5 milioni di abitanti potenzialmente a rischio.

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