La voglia di scendere dall’ottovolante Italia
Venghino, signori venghino al Lunapark Italia. Dal 4 marzo vivere nel nostro Paese è come salire sull’ottovolante o provare il gusto del rischio sulle montagne russe.
Un festival di parole, proclami e minacce che bruciano miliardi e posti di lavoro. Al primo sentimento della fiduciosa attesa, si è sostituito quello dell’angosciosa ansia. Tutto all’insegna del cambiamento fine a se stesso, dimenticando che si può cambiare in meglio, ma anche in peggio. Ed è purtroppo quello che sta accadendo: precipitevolissimevolmente. Le immagini che si susseguono nel caleidoscopio tricolore sono da brivido. Un premier ectoplasma e due «vice» che sembrano i ladri di Pisa: litigano di giorno e si spartiscono il potere (le nomine) di notte. Per il resto non sono d’accordo su nulla: se Salvini propone il condono fiscale, Giggino grida allo scandalo, e lo cancella di nascosto; però sul decreto per ricostruire il ponte di Genova, l’unica infrastruttura che non si scontra con la religione della «decrescita felice», il grillino ci ha infilato (sempre di notte) il condono edilizio per Ischia, perla del suo collegio elettorale. Qualcuno dirà che è sempre successo. Sarà. Ma non si ricorda neppure ai tempi del Pci un ministro, nel caso Danilo Toninelli, che saluta l’approvazione di un provvedimento nell’aula del Senato con il pugno chiuso. Oppure un vicepremier che stoppa la proposta per la costruzione di inceneritori, con un neologismo preso di sana pianta dal nuovo vocabolario della lingua italiana, il Devoto-Di Maio: «Non servono ad una ceppa».
O ancora, un presidente della commissione Bilancio che per conquistarsi all’una di notte la simpatia del tweeter «venduto schifoso», forse un personaggio di alto rango dei social, ventila la suggestione che se la Lega vincerà le prossime elezioni l’Italia uscirà dall’euro. Risultato: fondi di investimento in subbuglio, spread alle stelle e milioni di euro in fumo. Uno dice in un mix di fatalismo e cinismo: si vabbè, ma ne abbiamo viste tante. Magari sì. Solo che questa folkloristica compagnia di giro si è messa in testa di sfidare la matematica e l’Europa da sola. Non c’è istituzione economica dentro o fuori il nostro Paese che non consideri sballati i numeri della legge di Bilancio che il governo gialloverde ha spedito a Bruxelles. E non c’è un solo Paese del Vecchio continente che ci dia una mano. Anzi, i più duri, i più spietati sono i partiti fratelli del cosiddetto «sovranismo salviniano». Parafrasando una battuta di un celeberrimo western di Sergio Leone (Il buono, il brutto, il cattivo) verrebbe da dire: quando due sovranisti si incontrano, uno ha una pistola e uno scava. Solo che a questo punto una domanda è d’obbligo: com’è potuto accadere tutto ciò? E il sospetto che sia il risultato più degli errori degli altri che non dei meriti dell’allegra brigata, non è per nulla peregrino. Anzi. Negli ultimi dieci anni la congiunzione astrale tra due capi dello Stato allergici alle urne e parlamentari che inorridivano solo all’idea di lasciare le poltrone anzitempo, ha fatto sì che le legislature marcissero più del dovuto e si andasse a votare nel momento peggiore. Insomma, si è imposta la logica del tirare a campare e i partiti storici l’hanno pagata a caro prezzo. Come oggi del resto: c’è un rimpiattino tra il Quirinale e Palazzo Chigi, con la spada di Damocle dell’art. 81 della Costituzione che richiede il pareggio nella legge di bilancio, ma la situazione si trascinerà fino a quando il capo dello Stato si troverà costretto a promulgare un provvedimento che non condivide, per evitare al Paese guai peggiori. La cultura del laissez-faire. Tutto il Paese non ne è immune. I grillini danno delle puttane ai giornalisti. E la stampa insorge, dimenticando di aver trattato un comico come un profeta, un bibitaro come uno statista e di aver subito per anni la condizione capestro di ospitare i suddetti in Tv senza contraddittorio. Poi, ti stupisci se la parodia del Che de’ noantri legge, in diretta Tv dal Guatemala, le liste dei cattivi e dei «direttorissimi» del nuovo corso. È la giostra impazzita del Belpaese. E ti viene un’incontenibile voglia di scendere e di fare le valigie.
IL GIORNALE