Maurizio Martina e Marco Minniti verso la candidatura alla segreteria del Pd
I dirigenti chiedono unità senza crederci troppo, mentre i militanti che arrivano dai territori chiedono loro un passo indietro additandoli come la causa di correnti e divisioni. L’assemblea del Pd, che ha inaugurato la fase congressuale, scorre così in una grande sala con tanto frastuono e nel silenzio di chi avrebbe dovuto parlare. Non c’è Matteo Renzi, per esempio, e non c’è neanche Carlo Calenda, iscritto tanto celebrato fino a poco tempo fa. Entrambi in forme diverse negli ultimi tempi hanno parlato di futuro, eppure tra i delegati non ci sono. L’ex segretario vuole mettersi un po’ da parte, “defilato” viene definito dai suoi. Il senso della sua assenza è “ho già dato, mi sono candidato due volte” anche se in realtà non va oscurata la corsa di Marco Minniti in rampa di lancio.
In sala c’è un grande frastuono, dicevamo, perché nel susseguirsi degli interventi, compreso quello del segretario uscente Maurizio Martina, si sente un rumore di fondo, un borbottio costante. Subito dopo sale sul palco Katia Tarasconi, una delegata 45enne, e in modo disarmante sferza i big: “Ritiratevi tutti. Siete accecati dalle vostre divisioni e ambizioni per non capire che la gente non ci segue più”. Peccato però che la sala si sta svuotando nell’indifferenza generale, tanti delegati sono in piedi, chiacchierano tra loro dando le spalle al palco. Chi coordina i lavori si sgola: “Ora fate silenzio. Per educazione, per gentilezza e rispetto chi parla può uscire? È proprio un fatto di stile”.
L’unico slancio lo dà Frans Timnermans che batte la carica: “Cari compagni e compagne, siamo capaci di vincere queste elezioni europee e lo faremo”. Tutti applaudono ma è l’unico momento passionale. Roberto Giachetti è l’unico che non si schioda dal suo posto: “È possibile che debba essere lui il nostro centroavanti?”. Sembra di essere dentro un guscio vuoto, così in tanti escono. Vanno a radunarsi nelle stanze che circondano la sala, si fanno prove di accordo congressuale: “Minniti andrà in ticket con Bellanova?”. La domanda rimbalza di bocca in bocca.
La risposta sempre essere negativa. Lei, la ex sindacalista, con aria decisa chiude la partita: “Non sono seconda a nessuno”. Nel mezzo però ci sono state discussioni e fratture sottotraccia. L’ex titolare del Viminale ha imposto margini autonomia, ma ci sono renziani che in questa gara vorrebbero pesarsi e presentare una propria lista a sostegno di Minniti, che però non è affatto convinto piuttosto proverà a fare campagna contro le correnti.
Nicola Zingaretti entra in sala con Orlando, sulla destra della sala c’è Gianni Cuperlo, è lui l’unico da candidato ufficiale a lanciare una proposta: “Permettiamo a tutti di votare, senza versare i due euro. Non si può pagare per votare”. Le regole le fisserà la commissione appena nominata che dovrà occuparsi del grande rebus della data. C’è chi dice 17 febbraio, chi il 24 e chi ancora il 3 marzo a un anno esatto dalla sconfitta clamorosa alle politiche. Un accordo non c’è. Matteo Orfini scherza: “Boccia vorrebbe fare tutto in cinque minuti”. Francesco Boccia è un altro candidato che spinge per tempi più veloci: “Oggi si è chiuso un ciclo e se l’assenza di Renzi è politica sbaglia. Ora serve far iscrivere al Pd tutti gli italiani che lo vogliono, anche online”, dice davanti alle telecamere. Poco più in là Paolo Gentiloni e Luigi Zanda si stanno allontanando insieme. Dovrebbero convergere sul candidato Zingaretti e l’ex premier è per primarie “al più presto, già a metà febbraio”.
Tutto viene rimandato al comitato congressuale, come se tutto ciò che avviene dentro questo rito stanco dell’assemblea in streaming non avesse alcun impatto appena varcata la porta dell’uscita. Maurizio Martina ha scelto di giocare la parte della sfinge nel sabato della fine della sua segreteria. E l’assemblea Pd è un enorme punto interrogativo in cui il la maggioranza la pensa così: “Si candiderà per disturbare la manovra di Renzi. Togliere voti a Minniti e far sì che dovrà essere l’assemblea a scegliere il segretario”. Quindi un assist indiretto a Zingaretti. Da altri invece le parole del segretario uscente vengono interpretate come un passo indietro: “In bocca al lupo a tutti i candidati chiunque essi siano”, aveva detto dal palco. Ma il suo staff, girando tra i delegati, si è affrettata a dire che la candidatura di Martina è invece più che sul tavolo. All’inizio della prossima settimana dovrebbe infatti confermare la sua disponibilità. Il progetto – si apprende – sarebbe giocato in chiave generazionale con la presenza di giovani e amministratori locali dei territori. Una sfida aperta all’ex ministro dell’Interno la cui candidatura viene sottoscritta da cinquecento sindaci. L’idea di Martina dovrebbe raccogliere il sostegno anche di diverse personalità del Pd, al di là delle aree formatesi nello scorso congresso, ed evitare la polarizzazione sino a qui emersa con le candidature di Nicola Zingaretti e Marco Minniti.
Polarizzazione appunto. Un esponente Pd che di primarie ne ha vissute tante osserva: “Fino ad ora sono state sempre scontare o polarizzate. O si sapeva sin dall’inizio chi avrebbe vinto o la sfida era a due, Bersani e Renzi per esempio”. Con Martina si apre una corsa a tre che potrebbe anche vanificare il congresso perché la parola passerebbe all’assemblea. In questo caso sarà un conteggio tra correnti. E quindi si torna al punto di partenza, come se il tempo non avesse insegnato.
This entry was posted on domenica, Novembre 18th, 2018 at 08:45 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.