Con meno crescita più tasse, trucco in manovra

di BARBARA ARDU’

ROMA – E’ tutto sotto controllo (a parte lo spread). Così il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha risposto alla Commissione Europea che il 23 ottobre chiedeva chiarimenti in merito allo scostamento dello scenario programmatico del governo rispetto alle norme del Patto di stabilità. Ci sono le privatizzazioni e c’è l’impegno a considerare il 2,4% come limite invalicabile per il deficit. Non solo, il ministro per tranquillizzare la Commissione, è stato prudente sul gettito fiscale previsto per il 2019. Ma secondo l’Osservatorio sui conti pubblici guidato da Carlo Cottarelli se le previsione di crescita indicate non si dovessero realizzare, c’é il rischio di un aumento della pressione delle imposte. Non il deficit dunque, ma le tasse. Un problema in un Paese che non solo ha interrotto la crescita, ma ha un livello di tassazione già elevato.

Tria – scrivono i tecnici dell’Osservatorio – ha costruito la sua manovra “sulla base del quadro macroeconomico tendenziale che non tiene conto della crescita programmata. Questa impostazione prudenziale introduce nella legge di bilancio un cuscinetto di salvaguardia, che previene un deterioramento dei saldi di bilancio anche nel caso in cui gli obiettivi di crescita non siano pienamente conseguiti”.

Dunque “il gettito fiscale sarebbe coerente con una crescita del Pil nominale al 2,74% – il valore tendenziale indicato nella Nadef – e sarebbe quindi inferiore a quello coerente con il Pil programmatico (+3,12 per cento, più elevato del tendenziale per via della manovra espansiva)”.

Una sottostima che secondo il ministro Tria garantirebbe una maggiore solidità dei conti pubblici. Così che gli obiettivi di entrate e di deficit potrebbero essere raggiunti anche in caso di minore crescita. Al contrario con un Pil al 3,12 per cento (più alto di 0,37 punti percentuali rispetto a quello sulla base del quale le entrate sarebbero state calcolate) il gettito fiscale potrebbe essere maggiore di quello previsto in bilancio e il disavanzo potrebbe essere più basso del 2,4 per cento. Un metodo (usare un quadro diverso da quello programmatico per la previsione delle entrate dello Stato), che è stato usato anche in passato. Solo che non c’era una tale sproporzione tra crescita programmatica e tendenziale, anzi si avvicinavano. La differenza quest’anno è invece sostanziale. E da qui nasce il problema.

Così i calcoli sono stati rifatti. E la conclusione è che se il governo avesse indicato un deficit del 2,2-2,3 per cento anziché al 2,4 per cento, avrebbe smussato un po’ gli angoli con le Commissione europea. Ha preferito invece mantenere un cuscinetto. Ma resta da vedere se, nel caso la crescita fosse effettivamente pari a quella prevista, le maggiori entrate sarebbero effettivamente risparmiate e non spese. Si noti in proposito che la lettera di Tria non contiene un impegno in tal senso, ma solo a non eccedere il tetto del 2,4 per cento come deficit. Nel caso di una crescita di poco inferiore a quella programmatica (caso peraltro più probabile), il cuscinetto eviterebbe di sforare il 2,4 per cento. Ma la salirebbe la pressione fiscale, che diventerebbe dunque più alta di quella indicata nei documenti di bilancio, che la indicano fra il 2018 e il 2019, al 41,8 per cento. Il governo avrebbe dovuto invece indicare una pressione in leggero rialzo, dal 41,8 del 2018 al 41,9-42,0 per cento nel 2019.

E’ questa infatti la pressione fiscale che avremmo se l’ipotesi di crescita del governo non si realizzasse (cosa molto probabile). Dunque concludono i tecnici di Cottarelli l’unica cosa certa è che la pressione fiscale sarà più elevata di quanto indicato dal governo dello 0,1-0,2 per cento di Pil. Sarebbe il caso che il ministro Tria, è l’invito dell’Osservatorio, chiarisse alle Commissione quale sarà il livello di pressione fiscale.

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