Il fantasma con i baffi aleggia sulle primarie Pd
Il fantasma con i baffi aleggia sulle primarie Pd. Con chi sta Massimo D’Alema?, E’ la domanda che rimbalza nelle inquiete stanze, dove candidati, dirigenti, capibastone ordiscono trame in vista della grande conta. Potere del carisma, evidentemente, che sopravvive a scissioni, sconfitte, percentuali elettorali e tempo che passa, come se il problema fosse lui. E, forse, il fatto che lo diventi è proprio il problema, di un congresso che assomiglia al pranzo di Natale in “Parenti serpenti”, con i familiari che si siedono a tavola, mascherando il veleno del non detto dietro il finto sorriso della festa, tranne poi farlo scorrere nel dopo banchetto.
Ecco che ti avvicina un parlamentare, con l’aria di chi sta per darti la notizia del secolo sussurrando che lui, il Lìder Maximo, appoggerà Minniti, che l’incontro c’è già stato e che, in fondo, è naturale, basta vedere l’attivismo dei lothar, perché certi legami sono antropologici e primitivi come il richiamo della foresta. Poi ti avvicina un altro, assicurando che, sempre lui, tra un paio di settimane farà una cosa con Zingaretti. E peccato che, tra un paio di settimane, l’ex segretario dei Ds, ex premier, ex ministro sarà a Fiumicino, al rientro da otto giorni di Cina e in partenza per altrettanti giorni negli Stati Uniti, non proprio l’agenda di chi è impegnato, ventre a terra, in un congresso di partito.
Però D’Alema c’è, suo malgrado, al punto che Giuliano Ferrara, che dieci anni fa lo candidò al Quirinale proprio col suo giornale, se ne occupa in un pezzo scritto con la stilografica intinta del cianuro. Perché è bastato vederlo alla presentazione del libro di Minniti, è bastato che proprio Minniti non rinnegasse l’amicizia di una vita, ed è bastato ascoltare Minniti per evocare il fantasma. È il fantasma della sinistra dei “diciamo”, delle ferree leggi del partito, insofferente ai tweet e agli orpelli social, che vive il proprio ruolo come l’investitura di un disegno più alto: “Ma sai – dice Peppino Caldarola, il direttore di ItalianiEuropei – il dalemismo non c’è come idea politica.
È una pratica di governo seria, sobria, ambiziosa ereditata dalla tradizione del centrismo comunista. Un metodo. Il dalemiano è uno a cui affidi un ufficio e l’ufficio funziona. Minniti in tal senso è dalemiano”. Forse per questo ancora non scalda i cuori dei renziani, perplessi per la sua uscita a In Mezz’ora, perché per quel mondo è impensabile che, proprio il giorno dell’annuncio Minniti sia andato a perimetrare la sua autonomia rispetto al mondo che lo sostiene: “Perché – prosegue Caldarola – il dalemismo non è sogno, immaginazione del futuro. È distacco dalle sofferenze correnti. Si governa a mente fredda, io sono il dottore e non mi spavento davanti al sangue. Non è crudeltà. È professionalità”.
E chissà se è un caso che, proprio ieri, in questo gioco di detti e non detti, l’ex segretario ha fatto uscire la notizia che l’idea di una scissione e di un altro partito è tutt’altro che archiviata, perché finito questo Natale delle ipocrisie c’è la primavera delle europee, e i parenti potranno stare ognuno a casa loro. Sempre che, nel frattempo, il renzismo non sia stato minnitizzato: “Il suo tentativo – prosegue Caldarola – è di andare oltre il renzismo, di produrre una evoluzione di quel mondo. Sì, se vince seppellirà Renzi”.
Per ora è stato seppellito il ticket con Teresa Bellanova, il che rende lecita la domanda: “Ma come si fa a vincere bene un congresso senza scaldare e mobilitare appieno il mondo che ti sostiene?”. Domanda legittima, ma forse non è da professionisti della politica, che risponderebbero all’ingenuo che la pone: “Il sostegno non è amore, è interesse e quel mondo non ha alternative. O lo sostiene o perde il congresso. Meglio vincere o perdere?”. Vincenzo De Luca, uomo pratico ha già mobilitato tutta la Campania, con l’esercito dei suoi sindaci, compresi quelli che sostennero la candidatura di Alfieri, l’uomo delle “fritture di pesce” e delle “clientele come Cristo comanda”. Anche Gianni Pittella ha messo in moto la macchina in Basilicata. Mentre altri hanno scelto un profilo più diplomatico. In fondo, non amarono neanche Renzi, ma anche lì c’era interesse.
Il professionista si circonda di professionisti. Via la Leopolda generation, tornano i lothar: “Quelli attorno a Marco – diceva l’altro giorno Cuperlo in Transatlantico – sembrano l’Abate Faria col Conte di Montecristo…”. È tornato Nicola Latorre, ex braccio destro e sinistro di D’Alema, estromesso dalle liste nella famosa ultima notte. Uno che ripete, ancora in questi giorni: “Resto ancora il presidente dell’Associazione vittime di Renzi…”. L’altro è Andrea Manciulli, altro dalemiano di ferro dei tempi d’oro, altro escluso delle liste. Per intenderci, quando scattò l’applauso su Prodi nella famosa riunione, si girò e disse: “Adesso dobbiamo procedere”. Alla fine furono 101. C’è anche Enzo Amendola, altro escluso in quella notte, giovane promessa del dalemismo ai tempi d’oro. E, ovviamente, Achille Passoni, il grande organizzatore del Circo Massimo di Sergio Cofferati che lo seguì già al Viminale. Il pugno di ferro del partito e il pugno di ferro del sindacato. Nessuno di loro ha un account facebook, twitter. A mala pena un Iphone, ma senza sfruttarne tutte le applicazioni. Manca Velardi che, alla presentazione del libro c’era eccome. Eccolo: “Ma certo che a Minniti gli voglio bene. Siamo nati insieme. Ma io c’ho da lavorare, mica ho tempo per fare politica…”. Ma chi sostiene D’Alema, quello vero? A dicembre per il ventennale della fondazione Italianieuropei ha invitato tutti e tre i candidati, del Pd, Minniti, Zingaretti, e Martina, tutti ex ds, per una riflessione sull’Europa e sulla sinistra. Anche questa è professionalità. Al congresso c’è il suo fantasma, che agita l’inquieto mondo renziano. A ogni “diciamo”.
L’HUFFPOST
This entry was posted on martedì, Novembre 20th, 2018 at 08:24 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.