M5S, fronda contro la gestione Di Maio del decreto sicurezza
La marea del dissenso monta contro Luigi Di Maio. Il sale della democrazia interna brucia sulle ferite del capo politico ammaccato dai sondaggi e produce parole che sembravano archiviate nel baule della storia parlamentare di questo Paese: «Raccolta firme», «documento di dissenso».
Diciannove deputati hanno messo il loro nome in calce a una lettera inviata al capogruppo del M5S Francesco D’Uva per chiedere di rivedere il decreto sicurezza di Matteo Salvini, salvato da possibili ammutinamenti in Senato grazie alla fiducia e ora alla Camera. Non erano solo cinque senatori grillini, non erano solo i capricci del comandante Gregorio De Falco. «Riteniamo – scrivono i deputati – che il testo abbia molte criticità che si rifletteranno pesantemente sulla vita dei cittadini. Un testo che non trova, in molte sue parti, presenza nel contratto ed è, in parte, in contraddizione col programma M5S». Parole inequivocabili contro una proposta che restringe i diritti per i richiedenti asilo e prosciuga la protezione umanitaria.
La lettera piomba nel bel mezzo della passerella di mezzo governo riunito a Caserta per risolvere il dramma dei rifiuti e tentare di mettere la parola fine alle polemiche tra Salvini e Di Maio sui termovalorizzatori. Il leghista chiede un chiarimento al collega vicepremier e incassa il suo sostegno. «La lotta all’immigrazione clandestina e alla mafia non possono più aspettare. Il decreto deve essere firmato e in fretta» è l’unico commento che concede Salvini. Il resto è compito di Di Maio: «Le persone che hanno firmato quella richiesta lo hanno fatto spiegando che riconoscono l’importanza del dl per il governo». Poi, con maliziosa perfidia, aggiunge: «Credo vogliano fare un’azione di testimonianza ma mi aspetto lealtà al governo». Dietro la calma pubblica, Di Maio cela tutta la sua furia, nutrita dai sospetti che a dare l’input siano stati i fedelissimi del presidente della Camera Roberto Fico.
E difatti qualcuno fa notare la composizione dei firmatari: tutti alla prima legislatura, dichiaratamente di sinistra, portatori di un’ideale di accoglienza. Molti sono del Sud, tanti della Campania. A infiammarli è Gilda Sportiello, sostenitrice del presidente della Camera, napoletana come lui, l’unica ad affrontare sempre di petto Di Maio nelle rare occasioni assembleari. Ed è anche su questo punto che la lettera si sofferma e fa male al leader, come un’eco di tutti i dissidenti passati e presenti: «Rileviamo una carenza di discussione interna». Chiedono di esercitare il loro «diritto di parlamentari», di un Movimento che, tra l’altro, si è sempre espresso contro il ricorso eccessivo alla fiducia, e a favore del primato del Parlamento. È sempre il decreto che porta il nome dello scomodo alleato, Salvini, il terreno su cui si consuma la guerriglia intestina. Dolore che si somma a dolore, dopo il sondaggio Swg che vede calare il M5S di un altro punto (al 26,4%) a favore della Lega (che sale al 32,7).
Oltre trecento deputati, fa sapere Di Maio, dovrebbero garantire una tranquilla navigazione al decreto sicurezza. Per una questione di opportunità istituzionale nella lista dei critici non appaiono i nomi di Luigi Gallo e Giuseppe Brescia, fedelissimi di Fico, entrambi presidenti di commissione. Brescia, però, alla guida degli Affari costituzionali dove si discute il testo, e paladino grillino dei migranti, assicura che si discuteranno anche gli otto emendamenti dei dissidenti del M5S e che lui stesso proverà a migliorare la parte del decreto che riguarda il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo (Sprar).
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